Con l’avanzare degli anni, la memoria opera una drastica riduzione dei ricordi. In base a criteri che ci sfuggono, indipendenti dalla nostra volontà, seleziona fatti, volti, particolari, privilegiandone alcuni e trascurandone altri. Gli scrittori sottopongono la memoria a un ulteriore setaccio, quello della scelta accurata, densa delle singole parole, che trasbordano emozioni e pensieri dalla sfera intima, privata a una dimensione pubblica. Eugenio Montale racconta un episodio avvenuto nella sua città natale, Genova, il 12 marzo del 1910. Quattordicenne, assiste per la prima volta all’esecuzione di un’opera lirica, La sonnambula di Vincenzo Bellini. Nel teatro Politeama Genovese, lui e il padre prendono posto sulle scomode panche in fondo alla platea. L’emozione è grande ma destinata a chiudersi prima del dovuto: “ Affondato in un cuscino preso a nolo passai due ore d’estasi, interrotte però dalla decisione di mio padre: il quale sentenziò, alla fine del secondo atto, che si faceva tardi e occorreva rincasare d’urgenza per la cena. Lo spettacolo si dava in matinée, l’orologio segnava le 17:30 e a quel tempo si cenava verso le sei. Non osai protestare, e perdetti così, l’immagine di Amina sospesa sul trapezio. Fu per me un dolore cocente”.
Colpisce la reazione passiva dell’adolescente, espressa dalle parole: Non osai protestare, che, nella loro estrema sintesi, lapidaria e ironica insieme, spalancano le porte sul mondo educativo borghese, distintivo dell’Italia all’inizio del Novecento, sul rapporto tra un padre che stabilisce un codice di regole inappellabili, senza eccezioni, scandite dall’orologio, e un figlio consapevole della vanità di qualsiasi tentativo anche minimo di rimostranza, obbligato al rispetto della sentenza emessa. Il ricordo appare significativo per un altro aspetto, in quanto segna l’irruzione di una quotidianità ripetitiva, per certi aspetti banale, nel culmine dell’esperienza estetica. Chi si avventura nei territori della bellezza è destinato a fermarsi anzitempo, a ritornare in modo precipitoso al mondo reale, a trascorrere dall’ estasi al cocente dolore. Anche in questo caso, la ridondanza delle parole, che poco sembra attanagliarsi a un ragazzo di 14 anni, sfuma nell’ironia distintiva, in realtà, di un uomo maturo, disincantato nei confronti dell’arte e della vita. La perdita della visione di Amina sul trapezio è la perdita della poesia, della possibilità di un mondo altro, incantato.
Al sodalizio fra Montale e la musica è dedicato l’intenso libro di Maria Silvia AssanteL’analfabeta musicale. Eugenio Montale da Accordi a Prime alla Scala, edito da Liguori (2019). Nella prima parte, intitolata Ouverture, l’autrice si sofferma sul citato episodio del padre che porta via il figlio dal teatro anzitempo; sulle lezioni di canto, prese da Montale con il maestro Ernesto Sivori, negli anni precedenti e successivi all’arruolamento nella prima guerra mondiale;sul fascino profondo, anche per i riflessi sulla sonorità della poesia, esercitato dall’ascolto di Les collines d’Anacapri e Minstrels di Claude Debussy, il 18 marzo del 1917, al teatro Carlo Felice di Genova. Si concentra, quindi, sulle raccolte che scandiscono la produzione montaliana: Accordi (1916-1922), Ossi di seppia (1925), Le occasioni (1939), La bufera (1956), per evidenziare, di volta in volta, il ruolo importante esercitato nelle liriche dalla passione per la musica.
La musica prima d’ogni altra cosa, proclama il simbolista francese Paul Verlaine nell’ Arte Poetica scritta nel 1874, mentre giace nel carcere di Mons. Ricordiamo, inoltre, che l’avanguardia artistica europea di inizio Novecento è orientata nella medesima direzione. Il pittore russo Vasilij Kandinskij, ritenuto uno dei padri storici dell’Astrattismo, nel libro Lo spirituale nell’arte pubblicato nel 1911, scrive: “ il più ricco insegnamento viene dalla musica. Salvo poche eccezioni, la musica è già da alcuni secoli l’arte che non usa i suoi mezzi per imitare i fenomeni naturali, ma per esprimere la vita psichica dell’artista e creare la vita dei suoni. Un artista che non abbia come fine ultimo l’imitazione, sia pure artistica, della natura, ma sia un creatore che voglia e debba esprimere il suo mondo interiore vede con invidia che queste mete sono state raggiunte naturalmente e facilmente dall’arte oggi più immateriale, la musica. E’ comprensibile che si volga ad essa e tenti di ritrovare le stesse potenzialità nella propria arte”. Si avverte lo stesso sentire di Montale, che si dilettò per inciso anche di pittura, di liberarsi dai legami, la stessa necessità di rappresentare e di non descrivere, la stessa urgenza di esprimere i contenuti del mondo interiore. Il confronto con Kandinskij può estendersi al fatto di attingere, per i titoli delle opere, a un linguaggio squisitamente musicale:Accordi, ma anche Mottetti, Madrigali, Ministrels, ecc., nel caso del poeta; Improvvisazione, Composizione, Impressione nel caso del pittore.
Quanto sia fine e approfondita l’analisi condotta da Assante si evince, fra l’altro, dalle osservazioni su alcune poesie di Ossi di seppia. Ambientata a Natale, Caffè a Rapallo, vede l’inizio concentrato sulle nuove sirene, le donne ingioiellate e vestite di seta, cariche di seduzione, che affollano un locale della costa ligure, e indugia poi, in contrappunto, su una marcia di bambini che si svolge all’esterno del locale: “ E’ passata di fuori / l’indicibile musica / delle trombe di lama / e dei piattini arguti dei fanciulli: / è passata la musica innocente”. La studiosa commenta: “ Il tempo della musica sembra appartenere all’illusa età dell’infanzia e dell’adolescenza irrimediabilmente trascorsa. Le speranze legate all’una non possono andare oltre la fine dell’altra”, e individua dei riferimenti al quadro del secondo atto della Boheme di Giacomo Puccini, allorché i due giovani innamorati Rodolfo e Mimì si ritrovano, con gli amici, a un caffè del Quartiere Latino di Parigi.
Riviere, la lirica che chiude Ossi di Seppia, è un’evocazione del paesaggio marino ligure delle Cinque Terre, dove Montale trascorreva le vacanze da bambino. Nell’ultima strofa i rami secchi che rifioriscono aprono in qualche modo alla speranza: “ Potere / simile questi rami / ieri scarniti e nudi ed oggi pieni / di fremiti e di linfe, / sentire / noi pur domani tra i profumi e i venti / un riaffluir di sogni, un urger folle / di voci verso un esito; e nel sole / vi investe, riviere, / rifiorire!” Assante coglie, in questo finale, un’inedita analogia con l’aria Non la sospiri la nostra casetta intonata dalla protagonista della Tosca di Puccini, nel primo atto dell’opera, allorché rinnova all’amato Mario Cavaradossi il ricordo del loro nido: “ Fiorite” nell’aria: “Tosca, canta un imperativo perché il suo sogno d’amore si replicherà (o almeno ne è certa), avrà nuova vita nel presente, “rifiorire!” nella poesia, perché il sogno di Montale non è realizzabile se non sul pianodi una possibilità senza alcuna certezza di realizzazione ma, qui per l’ultima volta, lasciata ancora aperta”.
La seconda parte del libro L’analfabeta musicale, intitolata Intermezzo, esplora, in misura puntuale, la collaborazione prestata da Montale, in qualità di redattore musicale, con il giornaleCorriere della sera, più esattamente l’edizione pomeridiana milanese Corriere d’informazione, negli anni compresi tra il 1954 e il 1967. E’ un lavoro, certo, che lo costringe a trascurare la poesia per dedicarsi alla prosa, ma è anche l’occasione di riannodare i fili del suo antico amore per la musica e, in particolare, per il melodramma, in una città come Milano che vanta uno dei più prestigiosi teatri lirici del mondo. Le recensioni vengono selezionate e raccolte nel volumePrime alla Scala, pubblicato tre mesi dopo la morte dell’autore avvenuta il 12 settembre del 1981. A scandire la raccolta sono cinque sezioni: Scritti musicali, Ritratti, Festival di Venezia e Spoleto, Prime alla Scala, In altri teatri, precedute dal saggio Paradosso della cattiva musicarisalente al 1946 e dedicato allo stimato critico musicale, nonché amico, Massimo Mila.
Nelle intenzioni originarie, Prime alla Scala avrebbe dovuto intitolarsi L’analfabeta musicale, un appellativo da non intendersi in senso diminutivo e teso a sottolineare, nell’espressione del giudizio critico, un approccio libero, svincolato dall’eccessivo specialismo. Le recensioni, tuttavia, appaiono fredde, caratterizzate da uno schema ripetitivo, piegate giornalisticamente alle esigenze dei lettori che vogliono notizie in modo rapido, senza particolari approfondimenti. Il fatto è che le idee di Montale sul teatro musicale sono controcorrente rispetto al gusto dominante negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, e arrivato praticamente invariato fino ai nostri giorni. Il suo pensiero appare condizionato in misura significativa dalla memoria, dall’autobiografia, va all’iniziazione adolescenziale svoltasi nei teatri genovesi e rivendica il passato, con le esecuzioni orchestrali poco scrupolose ma calde, i cantanti impuri e capaci comunque di trasmettere emozioni, il cattivo gusto degli allestimenti che avevano però una loro decisa vitalità, e, certamente non ultimo, l’entusiasmo popolare degli ascoltatori di massa, capace di tenere insieme padri e figli.Così Assante riassume il pensiero del poeta, che ha la pregnanza di una riflessione sociologica: Il progressivo affievolirsi dell’interesse nei confronti di questo genere è direttamente proporzionale al suo essere diventato un momento di esibizione dei privilegi di un determinato gruppo sociale medio borghese. Questo sta progressivamente snaturando il genere dell’essere uno spettacolo di carattere popolare, capace di vivere per strada.
Il melodramma che aveva incantato Montale, che lo aveva spinto nella sua giovinezza a fare il cantante lirico, che lo aveva ispirato più volte nella composizione dei suoi versi, non c’è più, è andato perduto per sempre, ha lasciato il posto a messe in scena ricercate e costose, in cui il nome del musicista, autore dell’opera rappresentata, passa in secondo piano, nella comunicazione, a favore dei nomi del direttore d’orchestra (Herbert Von Karajan) e del regista (Luchino Visconti), in cui i cantanti sono stritolati dal meccanismo divistico (Maria Callas), in cui una parte significativa del pubblico sembra partecipare alla noiosa, stucchevole liturgia di un rito mondano piuttosto che a un’avventura dello spirito, in cui i giovani, separati dal gusto musicale dei genitori e decisi a rivendicarlo, sono poco presenti. E, a proposito del mancato ricambio generazionale nel pubblico dei teatri lirici, da tempo si auspica che i legislatori italiani introducano l’insegnamento della musica e della storia della musica in tutte le scuole pubbliche, di ogni ordine e grado, e in modo serio, ma ancora oggi i politici di diverso orientamento, accomunati dalla medesima ignoranza, non si muovono, restano sordi, ciechi e muti.
Montale, uno dei poeti più raffinati e sensibili del Novecento, attraverso la crisi vissuta dal melodramma, definisce, in realtà, i contorni di una crisi ben più ampia e ancora attuale, che investe l’Italia e la sua identità culturale. Siamo debitori a lui, promotore di questa riflessione, e a Maria Silvia Assante per averla riproposta alla nostra attenzione.
"L'analfabeta musicale": il libro di Maria Silvia Assante
L'interessante lavoro sul rapporto tra Montale e la Musica
Redazione Ottopagine