Montesarchio

Volendo si potrebbe partire subito a effetto, giocando coi sentimenti, cominciando a raccontare della Torre di Montesarchio tatuata sul braccio di un broker finanziario che vive a Milano dal 93 e sogna il ritorno nel suo paese. Ma oggi lo strappalacrime in un articolo è come un merlot o un cabernet in un aglianico: lo addolciscono, lo rendono facilmente gradevole, ma poco sincero. E a Marco Tinessa starebbe molto sulle scatole la cosa.


E dunque, lasciando perdere le tentazioni di scorciatoie a buon mercato dell'emigrante di successo ma con la lacrimuccia del “vulesse turnà” la raccontiamo giusta, vera, biologica: analizzando quanto è forte un'idea.
Marco Tinessa è montesarchiese, a Milano ci è andato non per costrizione, ma per fare quel che gli piaceva: economia alla Bocconi. E' diventato un broker, un bravo broker, e a Milano ha messo su famiglia, e tra mercati e azioni ha coltivato, giustamente, le sue passioni, una su tutte: il vino.


E tra il metter su una cantina personale da 3 – 4mila bottiglie (“i miei risparmi li ho sempre spesi per comprare vino”) e il visitare le aziende produttrici delle bottiglie che più gli piacevano ecco l'idea: ora lo faccio io, il vino, ma solo se riesco a farlo in base alle mie idee, altrimenti niente.
E' l'inizio della declinazione di un'idea, più che di un'attività: il vino lo fanno in tanti, Marco non vuole replicare “il fare vino”, vuole che venga fuori il SUO vino.


E stando a Milano potrebbe fare tranquillamente il “paraculo”, giocando sul merlot, sul cabernet, vini facili e dai gusti facili, e invece no, si è preso la gatta più difficile da palare, l'aglianico, il suo aglianico.
“E' un grandissimo vitigno, è il vino del mio territorio – racconta Marco con una voce entusiasta, da sognatore, forse da visionario – e in più ho intravisto spazi per fare un aglianico diverso rispetto a quello che si è sempre fatto: lavorando sul biologico, su tecniche diverse, sapendo esattamente che vino voglio ottenere alla fine”.


Per questo si è messo a comprare le uve, se le fa mandare a Milano e lì vinifica, e messa giù così potrebbe essere fuorviante, sembrerebbe una cosa all'acqua di rose, pur parlando di vino, ma invece proprio no, è tutt'altro: “Le uve che mi vengono spedite dall'Irpinia non sono semplicemente acquistate – spiega Marco – dico io ai contadini come devono coltivarle e cosa devono fare, l'ho messo proprio nero su bianco su dei contratti che ho con chi le raccoglie. Ho la mia idea, che spesso mi porta anche a litigare con i contadini perché loro la pensano diversamente ma non transigo”.
Ne vien fuori lo “Gnostro”, il suo vino, la sua idea di vino: il sapore è quello della terra da cui nasce, te la racconta quasi, ti spiega l'idea.


Ti spiega un sogno, quello di Marco che quando racconta, con l'allegria e l'aria affabulatrice ti fa comparire davanti le vigne, le colline, il Taburno: si perché il sogno è proprio quello, il Taburno. “Vorrei valorizzare la produzione di vini del Taburno perché la trovo una zona fantastica per produrre: il sogno è avere un'azienda, con i vigneti che guardano alla Torre di Montesarchio, che mi permetta di tornare giù in pianta stabile, magari con qualcuno dei miei tre figli che mi segua. E da lì con altri quattro o cinque pazzi come me far esplodere il Taburno vinicolo portandolo al successo”.


Il sogno di una vita diametralmente opposta a quella che fa ora in pratica: dai ritmi frenetici delle borse e della finanza milanese alla lentezza dell'azienda agricola “Il vino nasce e segue i ritmi della natura, che sono quelli più congeniali all'uomo. Per carità, non dico che quel che faccio come lavoro principale non mi piaccia, ma faccio il paragone: nel mio lavoro si vien valutati giorno per giorno in base ai soldi che fai, e ho avuto anche successo e riconoscimenti importanti eh. Col vino però è diverso: nasce con te, e se viene fuori un gran vino con gli amici che ti chiamano perché lo trovano nei ristoranti importanti o sulle tavole dell'estero o alle feste e ai ricevimenti...è un po' come quando ricevi i complimenti per l'educazione o i risultati scolastici di un figlio”.


E si potrebbe stare ore a chiacchierare amabilmente con Marco di vino, di colline, di vigneti: sarà di sicuro un bravo broker per la capacità che ha di far maturare in chi lo ascolta ottimismo, che gli scenari che dipinge e ti fa apparire davanti siano una concretissima possibilità di futuro: “Il mio sogno, il progetto è quello: quindici anni fa mi ridevano dietro per le mie idee sul biologico e invece oggi molti si accodano, e dunque valorizzare il Taburno, il mio territorio. Il concetto di “give back” no? Dare indietro ciò che ho conquistato personalmente per far crescere il mio territorio: ci vuole coraggio, ma io ci credo”.
E' il sogno di Marco, per il Taburno, detto la Dormiente,  e chissà che sogni la Dormiente, chissà che sogni lo stesso sogno di Marco.

N.B: Si ringrazia per alcune delle foto Diletta Sereni