Cento anni fa, mentre il governo italiano stipulava segretamente il patto di Londra per confermare l’entrata in guerra contro l’Austria, in un piccolo paesino irpino, Bonito precisamente, Cristina Festa, una signora di famiglia benestante, dava alla luce una bimba. Il marito Alberigo Inglese non era in paese, si trovava momentaneamente negli Stati Uniti presso una sorella, per questo la donna non si recò alle anagrafe a registrare la figlia, le sembrò sconveniente per la morale corrente. Qualche mese dopo, il 19 maggio, ormai alla vigilia della Grande Guerra, il genitore fece rientro in Italia e regolarizzò la nascita di Aristide. La signorina, che ha festeggiato i cento anni martedì 19 maggio, in effetti ha superato questa soglia importante già da un paio di mesi. A onorarla, tutta la famiglia unita con gli amici, il Centro Italiano Femminile, l’Università delle Terza Età e l’amministrazione comunale, il sindaco Giuseppe De Pasquale con tanto di fascia tricolore. Le hanno donato una targa d’argento che reca la scritta: “A te che hai attraversato le vicende tristi e felici di un secolo di nostra storia con gioia, passione e grande modestia. Ad Aristide l’augurio di scaldare ancora a lungo il cuore di chi le vuole bene”. E son tante le persone che le vogliono bene e la ricordano per la sua dolcezza, modestia, abnegazione alla famiglia. Aristide vive sempre a Bonito con una governante che si prende cura di lei e tante amiche che vanno a farle visita costantemente. Ad allestire il banchetto per i suoi cento anni sono state due ragazze, Clara e Luigina, entrambe molto legate alla signorina che le ricambia con i suoi sorrisi e il suo affetto. Invitata all’evento e impossibilitata a partecipare perché impegnata su altri fronti, mi sono recata a farle visita successivamente accompagnata dalla professoressa Cecilia D’Inverno e dal fotografo della Grande Madre, Ciriaco Grasso per tentare una registrazione. La signorina abita un’antica casa in piazza Largo Mario Gemma, di fronte al comune. Ad accoglierci è la sua governante e due nipoti che mi annunciano come “la giornalista”, lei ci sorride entusiasta e si dispone al dialogo ma l’udito ormai non è proprio efficiente e non riusciamo a dirci molto. Mi racconta le cose essenziali della sua vita, nata a Bonito, fin da piccola frequentò le suore che le insegnarono la preziosa arte del ricamo. Queste parole accompagna con un gesto della mano per mostrarmi dei ricercatissimi pizzi a intaglio che pendono dalle mensole di un’antica cristalliera. Lei, con quelle mani ancora tenaci, che ora stringono la mia mentre cerchiamo di comunicare, ha ricamato il corredo a generazioni di ragazze bonitesi. Le mamme le si rivolgevano per l’alta professionalità ma anche per la dolcezza che aveva modo di esternare, da catechista, verso i fanciulli nell’ambito parrocchiale occupandosi della loro formazione religiosa. Dopo la guerra, con la mamma e una sorella, gestivano una “potea” nel cuore di Bonito, un negozio in cui si poteva trovare di tutto, dai quaderni scolastici, ai generi alimentari, piccoli accessori di abbigliamento, materiali per la cura del corpo e per la casa. Tutti i bambini di Bonito son passati dal suo negozio, chi per una penna, una gomma, un nastro scolastico o per capelli, nessuno andava via senza una caramella in dono, insomma, ognuno ha un ottimo ricordo di lei. Dei ventidue parti di mamma Cristina pochi restarono in vita; una sorella suora morì giovane, un fratello insegnante morì con il terremoto dell’Ottanta. I Bonitesi ricordano la signorina Aristide che andava in giro chiedendo disperatamente se qualcuno lo avesse visto. Aristide ha trascorso la sua vita tra il ricamo, il negozio e la famiglia accudendo minuziosamente i genitori nella tarda età. Ora è un po’ triste perché non fa più nulla, inganna il tempo guardando la televisione o seduta dietro i vetri, la mattina saluta puntualmente il sindaco quando sale al comune. Non si lamenta, dice “non c’è male, non c’è male”, con la saggezza degli avi che sapevano ringraziare Dio anche nella sventura. Con un po’ di audacia la professoressa le chiede se è mai stata fidanzata ma lei, con immediatezza risponde che non è mai stata interessata a queste cose per questo è vissuta tanto. Le chiedo se ricorda qualche canto ma, come è da immaginare, una persona che ha vissuto la vita tra la casa e la chiesa, non può conoscere quegli argomenti. Accenna un motivetto intonato, un canzone antica ma in perfetto italiano: “Amor dammi quel fazzolettino…” solo le prime strofe, poi non ricorda. Ci salutiamo così, con l’augurio di rivederci il prossimo anno. Io, con l’intento in cuore di esaudire quel suo desiderio di comparire in televisione…in qualche modo farò, non capita tutti i giorni di incontrare una persone che ha più di cento anni, per me una incarnazione della Grande Madre.
Franca Molinaro