Vito Marotta non è un camorrista. I giudici della Suprema Corte hanno escluso l’aggravante dell’articolo 7 (metodo mafioso) per il 29enne, (appartenente al Clan Marotta - Cesarulo di Agropoli), difeso dagli avvocati Leopoldo Catena e Pierluigi Spadafora.
La sesta sezione penale, presieduta dal giudice Tranci all' udienza del 20 marzo scorso, accogliendo i motivi della difesa, ha decretato: "Se é pur vero che il metodo mafioso, desunto dall'essersi avvalso della condizione prevista dall'articolo 416 bis del codice penale, non richiede la prova dell'appartenenza dell'autore della minaccia ad una associazione mafiosa, della cui forza intimidatrice, l'autore del reato si avvale, deve essere, se non realmente esistente, quantomeno percepita come tale dalla persona offesa. Per cui, anche se la violenza e la minaccia, assumono veste tipicamente mafiosa, tale situazione deve essere percepita dalla persona offesa. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto non sussistente un 416 bis, ma un 416 semplice (associazione), quindi non aggravato dal metodo mafioso, in quanto l'azione difetterebbe di un retroterra pseudo-camorristico su cui innervare il metodo mafioso, l'azione difetterebbe inoltre, di una intimidazione connotata come proveniente da un clan mafioso, unicamente argomentata in modo erroneo sul contenuto della frase minacciosa "che cazzo ridi?... Ti facciamo vedere, tu non sai quanti siamo... Noi siamo tanti!"
Sulla scorta di tale argomentazione, gli ermellini hanno annullato l'ordinanza impugnata ed hanno disposto il rinvio al Tribunale del Riesame.