Baselice

Circa due anni fa – nel luglio 2017- , dopo aver pagato il suo conto con la giustizia per l'omicidio della madre, aveva lasciato il carcere. Ci è tornato oggi, arrestato dai carabinieri della locale Stazione e della Compagnia di San Bartolomeo in Galdo, Gabriele Barbato, 48 anni, di Baselice.

Per lui l'ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia, che gli è stata contestata per le condotte mantenute nei confronti della moglie, che avrebbe aggredito con calci e pugni. E' stata lei a chiedere l'intervento dei militari, che, una volta sul posto, hanno bloccato l'uomo, sottoposto alla libertà vigilata, e l'hanno condotto presso la casa circondariale di contrada Capodimonte,a disposizione del sostituto procuratore Vincenzo Toscano. La malcapitata, che da tempo sembra fosse nel mirino dei comportamenti del coniuge, è stata soccorsa dal 118.

Il nome di Gabriele Barbato era rimbalzato all'onore delle cronache il 20 giugno 2010, quando aveva ucciso la madre, Maria Leonarda Marucci, 74 anni, vedova. Il dramma si era consumato in un'abitazione rurale alla contrada Piano Covelli che Barbato, dopo aver pranzato con i suoceri, aveva raggiunto intorno alle 17 a bordo della sua Ford Focus. Tra madre e figlio i rapporti erano tesi da tempo per questioni legate alla casa (e al terreno) nella quale la vittima abitava da sola, nel periodo estivo, e al suo rifiuto di lasciarla.

Secondo la ricostruzione operata all'epoca, al termine di un'animata discussione, l'allora 39enne aveva preso un filo di naylon, di quelli utilizzati in campagna per legare le balle di paglia, e lo aveva stretto da dietro al collo dell'anziana, ammazzandola sulle scale esterne della casa che la poverina stava salendo. Poi, resosi conto di ciò che aveva combinato, aveva telefonato prima alla moglie, quindi ai carabinieri, facendo scattare l'allarme. Sul posto erano intervenuti il sostituto procuratore Maria Aversano ed il medico legale, la dottoressa Monica Fonzo, che successivamente aveva eseguito l'autopsia.

Giudicato da una perizia psichiatrica parzialmente incapace di intendere e di volere al momento dei fatti, all'uomo, difeso dall'avvocato Federico Paolucci, il gup Maria Di Carlo aveva inflitto con rito abbreviato, nel luglio 2011, 10 anni. Scesi a 9 anni e 4 mesi nel primo giudizio di appello che si era concluso nel giugno 2012. Una sentenza impugnata dalla difesa, che aveva contestato l'esistenza dell'aggravante dei futili motivi ed il mancato riconoscimento della provocazione per accumulo. Argomentazioni accolte dalla Cassazione, che aveva disposto un ulteriore processo di appello, terminato nel novembre 2015 con la riduzione della condanna, infine fissata ad 8 anni ed 8 mesi.