“L'autonomia è un valore se correttemente intesa, misurata e applicata. È quello che cerchiamo di dire in questo documento nei suoi punti inevitabilmente desunti dalla nostra Costituzione. Noi indichiamo l'unico percorso sensato”. Così il presidente Svimez, l'Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, Adriano Giannola, in prima linea nella delicata questione dell'autonomia differenziata richiesta dalle regioni del Nord, che spiega perché in realtà questo processo di regionalismo differenziato non porterà vantaggi a nessuno: sicuramente non alle regioni del Sud Italia ma neanche alle stesse regioni del Settentrione.
“Bisogna fare i conti con una storia lunga 30 anni su cui non si è voluta fare un'analisi sincera e approfondita – dice Giannola - Oggi ci troviamo davanti a soluzioni avventate per il Nord e subite dal Sud. Il dramma è che la parte avanzata del Paese non si rende conto che questo non è un modo per sfuggire o risolvere la crisi, ma è un modo per aggravarla alla lunga ammazzando mezzo Paese e destinando loro stessi alla prosecuzione del declino. Basta che loro guardino al resto d'Europa. Il nord si accorgerebbe che sta molto peggio, e non da oggi, ma almeno da dieci anni. Perciò questa presa di controllo delle proprie risorse fiscali è un'illusione, una scatola vuota”.
Il sud fa bene dunque a non fidarsi? Si dice che l'autonomia porterà più efficienza e meno spreco di risorse...
“Certo, ma a parità di servizio offerto. Siamo certi che l'autonomia della scuola come la intende il Veneto renda più efficiente il servizio? Tutte le ricerche, nazionali e internazionali, non giungono a questo tipo di conclusione. In realtà la motivazione non è l'efficienza. Al Nord sono già più efficienti adesso rispetto al Sud, anche senza autonomia. E questa differenza di efficienza esiste perché le regole che ci siamo dati non le stiamo rispettando. Allora l'obiettivo per noi deve essere: autonomia si, ma applicando le regole. E le regole sono semplici. L'autonomia può essere chiesta soltanto dopo che ci siamo dati dei riferimenti precisi sulla ripartizione delle risorse. Questa è l'annosa questione dei Lep, prestazioni offerte in regime di costi standard. Ora noi non sappiamo neanche cosa sono i costi standard e non abbiamo mai fissato i Lep. Chi chiede l'autonomia dice: per il momento ci acconteniamo delle risorse legate alla spesa storica. Ma la spesa storica è tale da garantire molti più diritti al nord rispetto al sud, con una lesione patente della Costituzione che sancisce l'eguaglianza di diritti sociali e civili, diritti che devono essere finanziati in base ai Lep non in base alla spesa storica”
Ma proviamo a fare i conti in tasca alle regioni del nord. Lei ha detto “attenzione: quel famoso residuo fiscale di cui si vantano non è reale”. Cosa intende?
“Si perché è una contabilità banale dire che io pago più tasse rispetto ai servizi che ricevo dallo Stato come spesa e che questa differenza è di 40 miliardi. A parte il fatto che questi soldi tornano nel circuito dell'economia soprattutto al nord. Senza considerare che tutta l'Iva pagata al sud viene contabilizzata al nord perché la sede legale di molte aziende guardacaso sta in Lombardia o Veneto. Ma la questione principale è che al Nord tornano anche centinaia di miliardi di interessi sul debito pubblico,una questione non da poco. Quella è spesa. Il residuo fiscale è incassi meno spese. Se vogliamo essere corretti allora quegli interessi vanno tolti e quindi quei 40 miliardi si riducono forse a 10 miliardi per la Lombardia. La verità è che queste sono solo diatribe da pollaio – aggiunge Giannola – brandite come armi di terrorismo. Per loro siamo dei mantenuti. Ma io dico: guardate al vostro nord, al resto delle regioni europee. State diventando anche voi più poveri, da che prima eravate la frontiera del nord. Puntiamo invece su soluzioni che rilancino tutta l'economia nazionale, nella sua interezza”.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha scritto una lettera aperta al suo governatore Fontana. In sostanza diceva che poiché Milano produce il 10 per cento del Pil nazionale allora la città deve avere la sua autonomia, senza sottostare al potere della regione.
“Certo e poi domani magari il quartiere di San Babila dirà siccome io produco il 30 per cento del pil di milano voglio la mia utonomia, poi il condominio vorrà la sua autonomia e via così. Bisogna fermare il meccanismo implicito di questo processo che io definisco “farsi Stato”. Il progetto del regionalismo differenziato non è altro che la conferedazione delle regioni del nord, la lega italiana del nord insomma. E' molto rischiosa questa deriva. Il Sindaco di Milano ha ragione perchè la Lombardia senza Milano non conta niente, ma non si può andare avanti con queste pretese”.
Cosa pensa della proposta referendaria della Macro regione del sud?
“La macroregione del Sud non può esistere. La Sicilia e la Sardegna sono già a statuto speciale, per fatti loro, la Basilicata e il Molise mai aderirebbero ad una macro regione in cui scomparirebbero di sicuro. L'Abruzzo sta tornando indietro. Restano Campania e Puglia. Quello che è giusto di quella proposta è che ci sono delle funzioni che possono essere gestite in comune per economie di scala. Un discorso di efficienza dimensionale e operativa all'interno però di un discorso nazionale. La macro regione in quel senso può avere un senso. Al Nord è diverso, vogliono farsi Stato, nell'illusione di poter contare in Europa. Ma non capiscono che una volta espulso il Sud si mettono una pietra al collo da soli. Le regioni del nord non hanno questo famoso residuo di cui vivere, rischiano di avere un debito che fa saltare tutti i conti, rischiano di dover applicare politiche restrittive qualora diventassero un altro Stato, sanno benissimo che quello che desiderano è soltanto continuare ad avere questo potere estrattivo di risorse dal sud, per sopravvivere con una certa agiatezza. Ma quanto può durare?”