Benevento

Diciamocela tutta: senza il lodevole impegno della Caritas a coltivare la memoria, e qualche doveroso 'ritorno giornalistico', in quanti, ora, ricorderebbero la sua storia? Si chiamava Esther ed era di nazionalità nigeriana.
Era una madre, abitava a Castelvolturno e ogni giorno, quasi sempre in treno, raggiungeva Benevento. Faceva la vita, Esther, era il modo in cui tirava avanti.

Aveva 36 anni, spezzati da sette colpi di pistola. Era il 14 giugno del 2016 quando il suo corpo era stato scoperto in un terreno a poca distanza dal Parco archeologico di Cellarulo, costeggiato da un binario da tempo non funzionante che una cancellata separa dalla linea ferroviaria.
Un mese drammatico, quello di giugno, che dopo cinque giorni sarebbe stato poi dominato dalla fine di Maria, 9 anni, la bimba rumena morta annegata nella piscina di un casale a San Salvatore Telesino.

Un macchinista aveva dato l'allarme: transitando alla guida di un convoglio, la sua attenzione era stata richiamata da un'immagine terribile. Il volto di Esther era parzialmente coperto da un mucchietto di paglia, come se qualcuno, mosso a pietà, avesse voluto nascondere l'espressione della morte.

Un omicidio al centro di un'indagine della Squadra mobile, che resta ancora senza soluzione. All'epoca, il sopralluogo aveva consentito alla Scientifica di repertare, oltre agli indumenti, alle scarpe e alla custodia di un cellulare, sei bossoli ed un proiettile inesploso, tutti calibro 9x21.

Esther era stata centrata prevalentemente al lato sinistro e posteriormente, anche al pube. Il suo telefonino- un Akai azzurro con due slot e una sola sim card – era stato invece recuperato dieci metri più in là rispetto al punto in cui giaceva il cadavere, dopo i lavori di pulizia che quattro operai avevano effettuato nella zona.

Era stato gettato nell'erba, probabilmente dall'assassino. Numerose le persone ascoltate nell'immediatezza e nelle settimane successive. Non solo familiari, amici e amiche della vittima, ma anche alcuni clienti. Su uno, in particolare, si erano concentrati i sospetti anche dopo l'analisi delle immagini fissate dalle telecamere installate lungo il tragitto che conduce in quel determinato posto. L'aveva incontrata in più occasioni, ecco perché il suo numero era comparso nella rubrica del cellulare di Esther, con la quale aveva stretto un rapporto che andava al di là del mestiere che la donna esercitava. La sera precedente aveva provato a contattarla, ma non c'era riuscito ed era tornato a casa.

Nel mirino, dunque, le frequentazioni della malcapitata, senza escludere la pista di un delitto compiuto da qualcuno a cui potrebbe aver dato fastidio la presenza della donna in quell'area alle porte della città, o collegabile al mondo che la poverina frequentava. Ipotesi investigative che fin qui non si sono concretizzate in un sufficiente quadro indiziario a carico di possibili responsabili. Esther aveva 36 anni, non dobbiamo dimenticarla.