Avellino

Una corsa da leggenda. Il Giro d'Italia in Irpinia è il titolo del libro edito da Mephite e della mostra fotografica e documentaria inaugurata ieri pomeriggio al Circolo della Stampa di Avellino, con gli interventi del delegato provinciale del Coni Giuseppe Saviano, del dirigente della società ciclistica di Avellino Aldo Lombardi e dei dirigenti dell'Associazione Sportiva "Montoro 1927" Maurizio Capossela e Giovanni Romano. La mostra, allestita grazie alla collaborazione dell'Ordine dei Giornalisti della Campania, sarà itinerante e presenta immagine rare e finora inedite in Irpinia, dagli originali ritrovati e conservati dall'Archivio di Cultura Contemporanea ArCCo fondato da Paolo Speranza, autore del libro. La mostra sarà visitabile fino a martedì 19 maggio. Alla vigilia dell'importante tappa del Giro d'Italia che domani percorrerà il Sannio e l'Irpinia pubblichiamo due rarissime immagini d'epoca (il reportage di "Lo sport illustrato" sulla tappa Roma-Avellino del 1914 e la prima pagina de "La Gazzetta dello sport" sul vittorioso arrivo di Girardengo al traguardo di Benevento nel 1925) e un articolo sull'edizione del 1965, che accomunò anche in quell'occasione le province di Avellino e Benevento.

Con il Giro d’Italia l’Irpinia ed il Sannio hanno un rapporto speciale, un feeling antico e ricambiato. Fin dal 1914, quando Avellino ospitò per la prima volta il traguardo di una tappa. Una storia lunga un secolo, con tappe indimenticabili nei due capoluoghi e ad Ariano Irpino, sul passo della Serra e a Mirabella Eclano, a Montevergine e sul Laceno. L'edizione 2015 fa rivivere nelle due province l’evento sportivo più popolare d’Italia dopo il calcio e, attraverso il libro e la mostra Una corsa da leggenda, le trasformazioni del territorio e della comunità d’Irpinia attraverso le imprese dei campioni del pedale (da Girardengo a Pantani), gli epici duelli in montagna tra Binda e Guerra, Bartali e Coppi, e le straordinarie pagine di giornalisti e scrittori come Vasco Pratolini, Alfonso Gatto, Bruno Roghi, Gianni Brera, Gian Paolo Ormezzano, Luigi Veronelli.

Una terra sconosciuta ed antica, immobile nei suoi riti arcani e priva di segni tangibili di modernità è quella che viene descritta ai lettori italiani dagli inviati delle maggiori testate sportive. Ancora mezzo secolo fa, nel ’65, nella tappa che si concluderà al Corso Vittorio Emanuele II di Avellino con lo sprint del nuovo campione Michele Dancelli su Pambianco e Sabbadin, gli inviati della “Gazzetta dello sport” non lesinano la retorica: “(…) Al di là della verde vallata del Sannio, sulle prime pendici della disperata Irpinia, anche il Giro d’Italia, come la terra bollente sulla quale passava, ha avvertito il suo terremoto. La corsa è transitata per tornanti aspri, sopra la ghiaia, in una polvere di Marte. E’ stato come il segnale di una guerra, un ritorno del ciclismo alle origini nel senso più proprio e più vero”, scrive con toni da Istituto Luce degli anni ’30 Bruno Raschi, che più avanti definisce “girone infernale” il tratto irpino. Gli fa eco, lo stesso 20 maggio, il collega Sergio Valentini, che sulla “rosea” parla addirittura di “strada più infame del mondo”, descrivendola nei dettagli: “C’è un sentiero che rotola al piano insieme ai ciclisti, come un torrente in piena: i ciclisti lo percorrono a guado, disperatamente aggrappati alle loro biciclette, timorosi di venire sommersi da quella piena di sassi e di polvere. Subito dopo c’è una salita del cui tracciato si perde ben presto la nozione: da uno spazio che la gente lascia sgombro tra le pecore e le masserie si arguisce che quello strabello deve venire percorso e porterà pure in qualche posto. Poi ci sono altre salite, per arrivare ad un paese piccolissimo le cui case, costruite sul modello di piccolissime torri, si guardano ingrugnate da un metro di distanza. Il vento fa schiumare erbe e rami, che da un momento all’altro si lanceranno all’inseguimento dei ciclisti. Alla prima svolta, il vento blocca ciclisti e natura e tenta di rovesciare ogni cosa dall’altra parte. Salite, discese, vento”.

Fortuna che, in questo paesaggio da girone dantesco, compaiano qua e là barlumi di civiltà e di luce: “Fontanili solenni e sontuosi più di tabernacoli, - scrive Valentini - per ospitare quella venerata cosa che è l’acqua. Gregari che rientrano nel gruppo agitando le borracce come bandiere. Mortaretti e tric-trac,“per darci quell’entusiasmo ai ciclisti impegnati nella fatica, non siete d’accordo, signore?””. Ed ecco, più avanti, qualche diversivo curioso: “Contadine che montano l’asino alla amazzone, con una maestà regale. Castelli costruiti un po’ in economia, anche in quelle epoche che i feudatari i soldi ce li avevano. Le donne di Montecalvo, piccole, vastissime, con le gonne nere imbottite, le camicette ricamate, uno scialle, fulvo che gli corre intorno alla testa ed esplode in una raggiera di frange, dando loro un aspetto, non so, di donne leonine. In un villaggio, l’incredibile insegna “Coiffeur pour dames”. (…)”.

Sul piano strettamente agonistico, ricostruiamo le fasi decisive della tappa con la penna di Bruno Raschi: "Dancelli e Poggiali dunque rinvennero d’impeto sulle prime curve della spirale che portava a Montecalvo Irpino trascinandosi appresso una terza maglia gialla che individuammo per quella di Flaviano Vicentini. (…) Il gruppo misurò le distanze dopo che i due fuggitivi avevano varcato la siepe tumultuante (una tempesta autentica d’evviva) di Ariano Irpino, per buttarsi ad ali tese giù dalla discesa verso Grottaminarda: era esattamente a due minuti e mezzo. Ma si trattava ovviamente di un gruppo selezionatissimo che aveva fatto precipitare da tempo la zavorra. Non avremmo creduto di veder spuntare, quasi all’improvviso, fra una curva e l’altra, due maglie di colore diverso: un “arancione” della Vittadello, Alfredo Sabbadin, e un “cilestrino” della Salvarani che individuammo in Arnaldo Pambianco. (…). Eran quattro dunque. In quattro, con una spartizione evangelica della fatica, sarebbero arrivati al traguardo di Avellino".

Nel bene e nel male, insomma, l’Irpinia ed il Sannio non lasciano indifferenti i suoi occasionali ed estrosi visitatori. E per una terra, all’epoca pressoché sconosciuta e oggi di nuovo dimenticata nell'agenda dei governi, il Giro d’Italia finisce per rappresentare un volano d’immagine di assoluto rilievo: la mostra di ArCCo e il libro edito da Mephite (seconda edizione ampliata e con un ampio corredo di immagini) sono finalizzati a dare un contributo di lungo periodo sia sul piano storico e antropologico sia al "marketing territoriale", in coerenza con un percorso editoriale che - per la prima volta in Irpinia - sta ricostruendo in maniera complessiva e rigorosa, con molti testi e documenti finora dimenticati, i capitoli della letteratura di viaggio e della rappresentazione mediatica di questa terra del Sud.

Paolo Speranza