"Il dolore stringe l’anima e ci toglie quasi il respiro. Siamo qui anche per trovare un conforto, una parola che getti una luce di speranza su questa vicenda tragica. Ma ciò che più serve, in questo momento, è il silenzio." Inizia così l'omelia dell'Arcivescovo Prelato e e Delegato Pontificio di Pompei Tomamso Caputo nella Parrocchia San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria Apocalisse in occasione di funerali del piccolo Giuseppe, il bimbo di 7 anni ucciso barbaramente a Cardito di Napoli.
"Un silenzio che possa oltrepassare il frastuono, il clamore che è stato fatto attorno alla morte di Giuseppe. Un silenzio che ci aiuti a riflettere e, perché no?, a piangere: possano le lacrime lavare il male e le ferite che ci portiamo appresso. Un silenzio che si faccia preghiera, nell’ascolto della Parola, l’unica che ci potrà aiutare a capire, che potrà far proseguire le nostre vite, nonostante questa grandissima sofferenza. La Parola che, sola, può consolare i nostri cuori affranti. Raccogliamoci; predisponiamo i nostri cuori all’ascolto e alla preghiera; offriamo al caro Giuseppe il dono del nostro raccoglimento e della nostra preghiera; domandiamo perdono dei nostri peccati…
Cari fratelli e sorelle, desidero raccogliere tutto quanto avete in cuore in questo momento e rivolgermi, anche a nome vostro, a Giuseppe. Caro Giuseppe anche a un sacerdote, a un ministro di Dio, dall’altare possono venir meno le parole, che non siano le preghiere: quelle che ti avvolgono, oggi, come le carezze alle quali hai più di tutti diritto. Non vorrei, però, far mancare a te, nel giorno in cui vieni a dormire il tuo sonno eterno accanto e sotto la protezione della Vergine Madre, la Madonna di Pompei, quelle parole che possono servire a raccontarti del resto della vita che ti è stata così brutalmente estirpata. Vorrei dirti, anche per prendere noi coraggio dal tuo sacrificio, che non puoi esserti affacciato a questo mondo solo per farti vittima della violenza o degli attimi di follia, perfino di chi, per le controverse situazioni della vita, viene a trovarsi sotto il tuo stesso tetto.
Vorrei dirti che la vita è proprio tutto ciò che ti è stato negato, o che nei pochi anni che hai vissuto hai potuto solo scorgere per attimi, o addirittura avvertire come assurda e precoce nostalgia. Caro Giuseppe, la vita ti ha perduto. E ci mostra il rimpianto, la consapevolezza senza esitazioni di un male che diventa malessere, ci mostra gli occhi sbarrati di fronte a un abisso, i cuori afflitti di chi sente che la tua morte è un irreparabile sfregio all’umanità. La vita ti è solo passata accanto; e ora che ti ha voltato così spaventosamente le spalle, di fronte all’orrore ma anche all’immensa pietà che la tua fine ha suscitato, viene da pensare che la nostalgia sia proprio per la vita che non hai potuto vivere.
Non avevamo certo bisogno della tua morte, carissimo Giuseppe, per portare all’estremo, fin nel fondo dell’anima, questi pensieri che vogliono essere, e sono, di vita. Ma vorremmo che tu sapessi: non era per te, e non può essere per nessun altro, l’abisso che invece hai trovato sulla tua strada. Non è roba che può appartenere, o può venire, dagli uomini. Vogliamo rivolgere un pensiero anche alle tue sorelline, vittime anche loro di una cieca violenza. Esse, sottratte, speriamo per sempre, alla brutalità e all’aggressione, sentiranno più di tutti la tua mancanza e ti porteranno sempre nel cuore.
La nostra preghiera di oggi è, dunque, anche per loro, perché la vita possa finalmente sorridere loro. Ma, come ci chiediamo tutti, qui, adesso, cosa possiamo fare noi, uomini e donne, normali, come potremmo evitare che la violenza continui a regnare nella nostra società, pur moderna e civile? Proviamo a dare una risposta. Tutti noi dovremmo voltare le spalle, definitivamente, senza ripensamenti e senza voltarci indietro, a ciò che ti ha portato via: il disamore, l’aggressività, il sopruso, l’insofferenza, le frustrazioni, certo. Ma non solo.
Dovremmo abbandonare una sempre più diffusa cognizione del male che, per assurdo, diventa leggera, eterea, lo banalizza, lo riduce a normalità. Quasi che non si prendesse nella giusta considerazione. Questo atteggiamento, inevitabilmente, porta ad una lucida insania, ad una folle abitudine al male. Ci fa diventare indifferenti e ci impedisce, inoltre, di cogliere i momenti e le situazioni di crisi. Anche le istituzioni fanno sempre più fatica ad approntare interventi adeguati e soprattutto a mettere in atto misure di prevenzione. È necessaria più attenzione per il prossimo, più cura per chi è in difficoltà.
È doveroso, in questo momento di grande dolore collettivo, un sussulto di coraggio, riconoscerci e sentirci realmente fratelli, facendoci carico delle sofferenze degli altri. La forza per riuscire a farlo può venirci dall’Eucaristia che stiamo vivendo assieme, dal sacrificio di Cristo sulla croce, dalla sua Risurrezione, da questo momento di preghiera e di fratellanza, in cui il Bene con tutta la sua forza e con la tenerezza che viene da Maria insorge contro il male, per ricacciarlo nelle retrovie.
Tu Giuseppe ci aiuti a farlo, perchè al male hai pagato il prezzo più alto che potevi, la vita. Il Signore della Vita, ci ha oggi ripetuto Parole di Vita: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro. (Mt 11,28). E noi crediamo caro Giuseppe, che il Signore, stia mostrando al tuo sguardo terrificato il cielo nuovo e la nuova terra (Ap 21,1), la dimora in cui la nostra Mamma celeste, la Beata Vergine del Rosario, ti sta accogliendo tra le sue braccia amorose per darti la vera pace."