di Claudio Mazzone
Era il 19 gennaio del 1969, trent’anni fa, e a Praga si spegnava, dopo 3 giorni di straziante agonia, Jan Palach uno dei ventenni più coraggiosi e più testardi che il mondo abbia mai conosciuto.
Oggi sono molti coloro che purtroppo ignorano questa figura, forse perché sono stati troppi coloro che negli anni hanno provato a cancellarla, a far dimenticare quel gesto tanto rivoluzionario quanto totalizzante, quella disumana ed estrema forma di lotta, che ebbe il potere di mettere sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale, la realtà di un sistema nel quale non vi era spazio per le libertà e per il rispetto dei diritti dei cittadini.
Erano anni di grandissimo fervore, le lotte studentesche ed operaie infiammavano le piazze di tutta Europa, Praga era diventata il centro culturale ed innovativo dell’intero mondo sovietico, i giovani studenti cecoslovacchi erano il fulcro della novità e della modernità. Praga faceva scuola e con Dubcek al potere, il sogno di un comunismo illuminato, che riuscisse a vincere la sfida della modernità sembrava a portata di mano.
Nel 1968, quella che passò alla storia come la primavera di Praga, venne repressa nel sangue e molti giovani furono costretti ad abbandonare il loro sogno di libertà e cambiamento per tornare a fare i conti con una realtà di soggezione e di cupa obbedienza. Mosca invase con l’esercito Praga sparando sulla folla e lanciando i carrarmati contro gli studenti, uccidendo i sogni di un’intera generazione. La Cecoslovacchia ha però una lunghissima storia di lotte studentesche e di giovani coraggiosi e vogliosi di lottare per riprendersi il proprio futuro.
Jan Palach era allora appena ventenne, aveva assaggiato la libertà, aveva respirato il sogno e le speranze di quella primavera, aveva vissuto con sgomento la violenza sovietica e si era reso conto di non poter rimanere indifferente, di non poter chinare il capo. Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio il giovane studente di filosofia si recò nella centralissima piazza Venceslao, si fermò senza esitare davanti alle scalinate del Museo Nazionale, si cosparse di benzina e si diede fuoco. A pochi metri da quella torcia umana furono ritrovati i suoi appunti ed una lettera nella quale Jan Palach spiegava le sue motivazioni e svelava che quello non sarebbe stato un atto isolato,
“Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà“
Altri 7 ragazzi cecoslovacchi si immolarono, altre sette giovani torce, di cui purtroppo conosciamo pochissimo, il 25 febbraio fu infatti Jan Zajic, un diciannovenne studente ferroviere, a sacrificare la sua vita con le stesse modalità. Degli altri nulla è rimasto, nulla si seppe, il regime e l’unione sovietica non potevano permettersi una tale immagine, erano gli anni dei movimenti studenteschi in tutto il mondo, movimenti che molto spesso guardavano con favore all’URSS, movimenti che potevano ancora servire alla causa globale del comunismo ma soprattutto a quella della supremazia russa. La storia delle torce umane di Praga fu poco amata dai nostri comunisti, fu quasi ignorata, fu volutamente oscurata, la carica di forza e coraggio di quei ragazzi non doveva essere pubblicizzata, la violenza e la cupezza dei regimi comunisti non andava svelata.
In questi anni ci siamo purtroppo trovati a confrontarci con il terrorismo internazionale, con l’idea che per far prevalere le proprie ragioni non ci sia altro metodo che spezzare un numero sempre più alto di vite umane. In questi anni nei quali la politica, le idee, le ideologie e perfino la stessa libertà, sembrano non aver più quel senso profondo, sembrano aver perso la centralità nei sistemi occidentali, riscoprire la figura di Jan Palach a 47 anni dal suo sacrificio, può aiutare la nostra società.
Quel gesto, per quanto tremendo possa essere, ha un valore difficile da nascondere, quella decisione che potrebbe apparire folle agli occhi di molti, ha invece alla sua base una razionalità enorme. In quel modo, senza danneggiare altre vita, senza aumentare la violenza, sacrificando tutto ciò di cui si dispone, si esprime il proprio dissenso. Con quel gesto Jan Palach e gli altri ragazzi cecoslovacchi mostrarono al mondo che senza libertà non era possibile vivere da essere umani, che un uomo, uno studente, un ragazzo, avrebbero lottato fino all’estremo gesto per riavere la propria condizione di libero individuo.
Eppure quelle torce non illuminarono il mondo, per troppi anni ci fu silenzio, per troppi decenni Praga e la Cecoslovacchia rimasero schiacciate sotto un regime violento e direttamente gestito da Mosca. Jan Palach dovette aspettare il 17 novembre del 1989, per essere riscoperto, gli studenti di Praga e dell’intero Paese, diedero il colpo finale ed il regime, questa volta, non riuscì a spegnere le proteste. A piazza Venceslao tornò la libertà ed oggi, lì dove Jan Palach si sacrificò alla causa della libertà, sorge una piccola lapide con la sua foto e quella Jan Zajic.
La loro fiamma ancora brucia, la luce del loro sacrificio ancora dovrebbe illuminare il nostro cammino, il tepore di quel fuoco ancora dovrebbe riscaldare i nostri animi e non farci indietreggiare davanti alle ingiustizie, alle diseguaglianze e alle violenze che i nostri sistemi democratici stanno accettando. Quelle torce umane, quei ragazzi, il loro coraggio, il loro sacrificio e la loro lotta devono essere ricordate ogni giorno e ancora più oggi mentre le nostre libertà sono sotto attacco da più fronti, soprattuto da chi soffia sulla paura, da chi spera nella violenza, da chi sogna il ritorno di un potere reazionario.