di Claudio Mazzone

Era il 24 dicembre del 1914, quella che poi passerà alla storia come la Grande Guerra, uno dei conflitti più sanguinosi e tragici della storia dell’umanità, era iniziata da pochi mesi eppure aveva già mietuto moltissime vittime. Quella notte di Natale però l’umanità diede un segnale di civiltà che ruppe la barbarie e che riuscì a sconfiggere, anche se per poche ore, quel sistema di odio dettato dal potere.

Quel 24 dicembre nelle trincee insanguinate, con il gelo che aveva ghiacciato la terra e che aveva attutito la puzza di putrefazione dei cadaveri non seppelliti, quando calò la notte, una pace surreale scese su quegli uomini intenti ad ammazzarsi per garantire interessi a loro così lontani, e permise a quei soldati di riscoprirsi umani. 

I militari tedeschi ed inglesi si fronteggiano sul fronte occidentale, tra il Belgio e Francia. Stipati nelle trincee hanno dato inizio ad una guerra di posizione che si rivelerà sfibrante. Tra le due trincee esiste uno spazio chiamato la terra di nessuno, una cinquantina di metri di terreno che separano quegli uomini così simili costretti a combattersi. A quella distanza gli inglesi possono ascoltare cosa dicono i tedeschi e viceversa. Le urla di odio e rancore si sprecano e riempiono per intere giornate quello spazio effimero che divide due mondi. Nelle trincee si respira la paura di morire, si convive quotidianamente con realtà che difficilmente un essere umano può sopportare, con dolori e sentimenti che possono riportare l’uomo alla sua natura animale.

La notte di Natale però ha una magia particolare che supera il semplice carattere religioso della festa e che spesso fa riscoprire l’umanità e la capacità di condividere. 

Gli scontri furono cruenti anche il giorno della vigilia, poi però quando ormai era buio, i tedeschi in molte zone del fronte allestiscono con lumini e candele dei piccoli alberelli di Natale, e iniziano ad intonare i tipici canti natalizi ai quali si associano gli inglesi e dalle due trincee si alzano dei veri propri cori natalizi, tra il filo spinato, il fango ed il sangue delle trincee, proprio come se si stesse alzando dall’interno di una tranquilla abitazione addobbata per il Natale.

Dopo i canti, in maniera spontanea e del tutto autonoma le truppe inglesi e tedesche escono dalle trincee e fraternizzano con il nemico in quella terra di nessuno che non ha confini e non ha barriere. I soldati si scambiano doni, chi dà un coltello per un cinturone, chi un elmetto per una mostrina, chi scambia sigari con sigarette, chi tè con caffè. Quei giovani militari si riscoprono umani e ritrovano in quelli che dovevano essere i nemici, quelli che la stampa ed i governi avevano descritto e dipinto come dei veri e propri mostri, delle persone normali, anzi dei loro simili, con gli stessi loro desideri, con le stesse loro paure, con gli stessi loro sogni. 

Si parla di amori, di lavori, di figli, di famiglie lontane e di progetti, si discute di guerra, c’è chi addirittura improvvisa una partitella di calcio. È un momento di normalità, di gioia e di umanità durante quello che diventerà, di li a pochi mesi, il conflitto più violento della storia umana, causa della decimazione di un’intera generazione europea.

Gli alti comandi ed i governi non apprezzarono affatto ciò che accadde, fu visto come un atto di debolezza. I soldati, per vivere nelle trincee, andavano disumanizzati. Il nemico doveva rimanere un mostro e le truppe erano solo carne da cannone, che avrebbero dovuto uccidere e farsi uccidere senza commuovere né farsi commuovere. I giornali non pubblicarono alcuna notizia sull’accaduto, la faccenda andava cancellata dalla storia, era un atto di debolezza, sarebbe stato un vero e proprio spot per tutti i movimenti ed i partiti pacifisti. Avrebbe azzerato tutto il lavoro fatto per mostrare come utile e inevitabile il conflitto. C’era l’esigenza di parlare di gesti eroici che potessero idolatrare la guerra, non di gesti umani che avrebbero potuto minacciare tutto l’impianto di odio e nazionalismo sul quale si era costruito quel conflitto.

Gli anni seguenti non vi fu nessuna tregua natalizia. I solfati continuarono ad uccidere e farsi uccidere anche la notte di natale, non si fermarono più. Gli alti comandi, i governi e tutti coloro che avevano deciso di giocare con il mondo non lo permisero, la guerra era diventata sempre più violenta, l’odio aveva invaso l’intero mondo. Quello che accadde il 24 dicembre 1914, quel miracolo di Natale nella terra di nessuno, fu un gesto rivoluzionario, un “involontaria rivolta dell’uomo“. Il ricordo di quella notte andrebbe custodito e tramandato, Il ricordo di quegli uomini che si riscoprirono umani dovrebbe essere la base sulla quale costruire una società veramente fondata sulla convivenza, sulla condivisione e sulla pace.