di Marco Festa

Il calcio italiano piange Gigi Radice, il tecnico che guidò il Torino alla vittoria dello scudetto del '76, venuto a mancare nella giornata di ieri. Il suo ricordo è vivido tra chi ha avuto modo di conoscerlo. Di lavorare con lui. Di conoscerlo dentro e fuori dal campo: come tecnico e uomo. Tra questi c'è Salvatore Vullo, ex calciatore e mister dell'Avellino. Raggiunto telefonicamente nella sua Favara, da Ottopagine.it, la sua voce è a tratti rotta dalla commozione: “Sapevamo che stava male, ma la notizia della sua morte lascia dentro una tristezza incredibile.” - ha raccontato Vullo - “Con lui ho vissuto due anni stupendi con la maglia del Toro (dal 1978 al 1980) e quando si trasferì sulla panchina del Bologna (1981) mi ha volle con sé. Tra di noi c'era un rapporto di reciproca stima e di fiducia. Eravamo amici. Si fa fatica ad accettare che non sia più con noi. Colgo l'occasione per esprimere nuovamente la mia vicinanza alla sua famiglia, composta da splendide persone.”

Radice, più di un semplice allenatore: “Era un grande uomo di calcio. Un uomo vero, tutto d'un pezzo: poche parole e tanto lavoro. Una persona elegante, che parlava sempre in faccia. Sul campo era all'avanguardia: non amava attendere gli avversari, ma privilegiava un gioco improntato all'attacco pur senza rinunciare all'equilibrio di squadra. È stato tra i precursori di un modo di intendere la partita in cui le distanze tra i reparti dovevano essere corte, con i terzini, come me, chiamati a sganciarsi fino a diventare delle ali aggiunte. Era sempre pronto a spiegare ciò che non andava. Sapevoa farlo senza espasperare gli animi: con fermezza e tranquillità. Pretendeva, però, innanzitutto qualcosa che può sembrare banale ma non lo è: non si doveva mai mollare. Paragonarlo ad altri allenatori, del passato o attuali, è difficile. Francamente inopportuno. E non solo perché quello degli anni settante e ottanta, con tutto il rispetto per quello attuale, era un altro calcio.”

Nelle parole di Vullo è percepibile la gratitudine per chi non ha avuto dubbi a scommettere su un giovane, allora pressoché sconosciuto, che arrivata dalla Cadetteria nel gotha del pallone tricolre: “Gli devo moltissimo. Quando sono arrivato a Torino dopo quattro anni di Serie B, a Palermo, Radice rimase subito colpito dalle mie caratteristiche e dalla voglia che avevo di giocare, dall'entusiasmo che ci mettevo. Ricordo che all'inizio sbagliavo qualche cross di troppo e lui me lo faceva notare scherzandoci su, chiamandomi affettuosamente, come i miei compagni di squadra 'terrone' prima di correggermi. Era un maestro nel fare gruppo e mi fece sentire subito a mio agio.”