di Andrea Fantucchio
Fabio Grassi, ex sindaco di Tufo, ha scritto una lettera illuminante. Chiamato in causa nella crociata contro l'istallazione del biodigestore a Chianche, ne ha approfittato per realizzare uno spaccato delle prospettive di sviluppo, quelle reali e quelle tradite, della provincia irpina. Oltre a riflettere sul peso effettivo della politica, ieri e oggi, che poi si traduce in quello che la politica riesce o non riesce a fare per il territorio.
Grassi scrive «ora mi chiamano perché, in virtù del mio passato, io mobiliti qualcuno in più per una buona manifestazione di piazza contro la realizzazione del biodigestore. E ricordo con amarezza le poche decine di persone sulla ex statale 371 in mesta processione, nell'umido del fiume, tra il bivio per Petruro Irpino e quello del PIP di Chianche. Ci salvò il confinante comune di Ceppaloni, giustamente impaurito, e la vecchia politica; non la massa inesistente di contestatori, ma l'onorevole Mastella. Ora però la vecchia politica non c'è più e la nuova è in rodaggio tra “colpa di chi stava prima” e “lasciateci lavorare” con proclami compulsivi su Instagram, Facebook e Twitter»
In quella protesta a spiccare era il vuoto dei tanti che l'avevano snobbata, forse senza comprendere la reale risorsa che la filiera di prodotti tipici, Greco di Tufo in testa, rappresentava (e rappresenta) per l'Irpinia.
Eppure la valorizzazione di un simile patrimonio non si è mai concretizzata in modo omogeneo e decisivo. E ha ragione Grassi, quando retoricamente si chiede: «Ma chi crede più, qui in Campania, che la filiera delle eccellenze enogastronomiche sia una priorità politica per lo sviluppo? È una illusione retorica come un'altra, buona per discorsi dai balconi in piazze di paesi desolati. Nemmeno la campagna elettorale di Avellino ha speso una parola sul Fiano che porta il nome della città, capitale di una provincia con ben tre DOCG e altre eccellenze». Già, come un cane che si morde la coda: si ritorna a un'assenza più volte evidenziata negli anni. Quella di un capoluogo di provincia, Avellino, che non rappresenta l'Irpinia e che, ancor meno, riesce a rappresentare qualcosa. Chiunque oggi guardasse la città, ancora più se per la prima volta, probabilmente sarebbe colpito dal senso di incompletezza che esprime: un piano urbanistico confusionario, nel quale spiccano le grandi opere da finire e qualche mostro urbano, l'assenza di un polo artistico o culturale degno di questo nome, l'incapacità di mettere a sistema realtà associative e del terzo settore.
Cos'è oggi Avellino? Certo non la città che rappresenta una provincia e il suo patrimonio (storico e soprattutto naturalistico ed enogastronomico) né tanto meno il quartiere residenziale che potrebbe essere, ideale cerniera fra Napoli e Salerno. Un mancato sviluppo in parte imputabile, come suggerisce Grassi, ai mancati investimenti pubblici, quelli per lo sviluppo e il consolidamento della filiera, in parte a una politica che ha spesso favorito il contingente, “l'oggi”, alla pianificazione necessaria per innescare uno sviluppo omogeneo e duraturo.
Uno scenario, a tinte decisamente fosche, che innesca la chiosa amara dell'ex sindaco: «Ordunque meglio la munnezza, e il biodigestore: meglio morire di mondezza che di fame e svuotamento dei paesi, della beffa di potere essere agiati e di poter rendere agiati i vicini e invece stringere mosche.Nemmeno s'è pensata alla foglia di fico di legare questa attività di smaltimento ad un ciclo virtuoso della produzione agricola della DOCG, limitando i conferimenti a questo. Pensata davvero così e realizzata così sarebbe troppo da cosa normale, ovvero fantascienza qui. No, qui siamo sempre in Campania, mica in luoghi ove si pensa al territorio come macchina produttiva. E Chianche sa, così è arresa semplicemente all'ovvio, al fatto, svegliandosi dalle illusioni. Mi sono spiegato bene?» Purtroppo, sindaco, perfettamente.