Vincenzo Ferrante è entrato in polizia nel lontano 1962. Una lunga ed onorata carriera conclusasi nel 1998 con il grado di Sovrintendente capo della stradale. Purtroppo l’età e un brutto male non consentirono più al poliziotto lauretano, che oggi risiede a Nola con la famiglia, di continuare a lavorare al servizio dello Stato. In quell’anno, infatti, Ferrante venne posto in quiescenza per inabilità fisica dovuta a causa di servizio. E’ lui stesso a raccontarci il perché di quei malanni e della conseguente decisione di lasciare la polizia. «Dal 1963 al 1970 sono stato in servizio alla stradale di Roma. Venivo spesso comandato in servizio di scorta, in moto, a personalità pubbliche. Un servizio che prestavo per giorni e per molte ore continuate, influendo particolarmente sulla ghiandola prostatica», racconta il poliziotto in pensione.
La prima diagnosi ufficiale. Dunque, il problema è chiaro: facendo la scorta in moto, Ferrante aveva subito danni alla prostata. «Gli urologhi di enti pubblici mi diagnosticarono già nel 1998 una ipertrofia prostatica benigna con prevalenza lobo medio. Un’infermità che, secondo i medici, si era manifestata con molto anticipo, soprattutto per il servizio in moto», aggiunge Ferrante. Da qui parte la sua odissea. Nel 2001 il poliziotto chiede l’ennesima causa di servizio. La prima risposta da parte dello Stato arriva però solo nel 2008, sette anni dopo. «Nonostante i solleciti, non ho avuto alcuna risposta – racconta l’uomo – Poi, un bel giorno, vengo convocato presso l’Ospedale militare di Caserta. Devo sottopormi a visita legale. Le analisi depongono in mio favore: sul verbale medico si evincono con chiarezza che le lesioni sono giudicate ai fini della dipendenza da causa di servizio». Per Ferrante una buona notizia, insomma. L’ormai pensionato si tranquillizza e si concentra alla cura dei nipoti, consapevole che la trafila sta per concludersi. E si concluderà, certo, ma di anni ne passeranno ancora. Purtroppo, invano.
Il rigetto dell'istanza. «Nel 2013 – prosegue nel suo racconto Vincenzo Ferrante – a circa dodici anni dalla prima istanza, il comitato di verifica cause di servizio del Ministero dell’Interno respingeva la mia domanda di equo indennizzo ritenendo l’ipertrofia prostatica di grado medio alto non dipendente da causa di servizio». Si legge infatti nel dispositivo del Ministero: “trattasi di un’infermità di natura disendocrina, frequentemente legata all’età del soggetto consistente in una trasformazione del tessuto ghiandolare in senso mioadenomatoso, sull’insorgenza e sull’evoluzione della quale non possono aver influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante gli eventi del servizio, pur considerandone tutti gli aspetti descritti agli atti”.
Il falco non si da per vinto. Che botta, che delusione per il signor Ferrante. Ma l’uomo non si da per vinto ed ecco che nel gennaio del 2014 presenta un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Purtroppo, anche stavolta le cose non vanno per il meglio. «Il 20 aprile scorso vengo convocato presso la Questura di Nola, reparto contenzioso. L’ispettrice addetto, persona gentilissima, mi notifica la risposta della Presidenza. Apro la busta in sua presenza e noto subito che il mio ricorso era stato respinto, essendo competenza esclusiva del comitato di verifica per le cause di servizio pronunciarsi sulla dipendenza dell’infermità del servizio». «Nello stesso parere del Consiglio di Stato – continua Ferrante – non si evince il giudizio urologico per stabilire scientificamente se il servizio in moto e lo stress abbiano o meno influito sulla ghiandola prostatica tanto da causare con molto anticipo l’adenoma. Dal 2001, anno in cui ho presentato l’istanza per il riconoscimento dell’infermità, al 2015 sono trascorsi quattordici anni, un periodo in cui sono state scritte istanze, solleciti, e si sono susseguite visite mediche e accertamenti strumentali. Tutte cose che prevedono spese economiche. Da circa 30 anni sono in terapia e le condizioni peggiorano. Secondo me, occorre rispettare gli altri nella loro dignità se vogliamo davvero un mondo migliore».
Rocco Fatibene