di Andrea Fantucchio
Era accusato di aver coltivato 190 piante di marijuana e di aver venduto seicento dosi della stessa sostanza stupefacente: i carabinieri lo avevano arrestato in flagranza di reato. Il pubblico ministero aveva chiesto sei anni di reclusione, ma il giudice Giulio Argenio lo ha assolto. Marco Lonardo, 34enne di Altavilla Irpina, detenuto da sette mesi, è stato giudicato innocente. E può ora tornare in libertà.
La linea della difesa
L’avvocato Gaetano Aufiero, nella sua arringa, ha evidenziato diverse discordanze emerse durante un’indagine che era costata tre condanne ai coimputati di Lonardo. I tre presunti complici avevano scelto l’abbreviato, decidendo così di essere giudicati alla luce delle prove raccolte fino all’udienza celebrata davanti al gup, Vincenzo Landolfi. E finita con tre condanne comprese fra un anno e sei mesi e tre anni.
La difesa dell’imputato ha deciso invece di affrontare il processo ordinario e, grazie anche all’escussione di alcuni testimoni, è riuscita a smontare l’impianto accusatorio. In primo luogo il reato di coltivazione contestato per il quale Lonardo era già stato condannato in un’altra indagine. A incastrarlo, questa volta, delle intercettazioni. Una in particolare nella quale faceva riferimento a delle piantine. In un’altra veniva sentito parlare di “Babbalù”: per gli investigatori si trattava di soldi. Ma la difesa ha citato un’intercettazione, che risale a prima del sequestro, nella quale un uomo parla con Lonardo proprio di una piantagione da 190 piante nel luogo dove è stato eseguito il sequestro. Eppure quella persona, così come evidenziato dal difensore, non è stato mai indagato. Mentre le piante al quale faceva riferimento l’imputato si trovavano in un’altra zona di Altavilla.
Inoltre la polizia giudiziaria aveva evidenziato che, il giorno del sequestro, Lonardo era passato nei pressi della piantagione. Probabilmente, questo riteneva l’accusa, perché nervoso che qualcosa potesse andare storto. La difesa, invece, ha chiarito come la strada in questione fosse un’arteria principale di Altavilla che conduceva proprio alla casa dell’imputato. Lonardo – ha spiegato Aufiero – passava di lì ogni giorno.
L'avvocato: "Spedite gli atti in Procura"
Il difensore ha poi chiesto al pubblico ministero di spedire gli atti in Procura rispetto a un controllo, su delle impronte digitali attribuite all’imputato, che aveva dato esito negativo ma che non era stato inserito nel fascicolo del pm.
Per far cadere l’accusa di cessione si è rivelato fondamentale un altro errore procedurale citato dalla difesa. Il testimone che aveva raccontato di aver comprato la droga dall’imputato era stato ascoltato, durante l’indagine, senza essere assistito da un avvocato. Le sue dichiarazioni quindi non erano utilizzabili durante il processo. Chiamato a deporre, durante il dibattimento, il teste si è avvalso della facoltà di restare in silenzio. Questo perché è coinvolto in un altro processo connesso alle dosi e poteva quindi scegliere di non rispondere.
“Un errore che – ha aggiunto la difesa – si sarebbe potuto evitare a monte se la polizia giudiziaria fosse stata assistita dal pubblico ministero in tutte le fasi dell’indagine”. E che ha finito per rivelarsi decisivo nell’assoluzione di Lonardo.