di Andrea Fantucchio
Ammazzato con due colpi di pistola in testa e uno al torace, prima di essere carbonizzato. Il figlio della vittima attacca l'uomo che avrebbe preso parte all'omicidio del padre. E lui si difende. Alcuni dei passaggi salienti nell'udienza di questa mattina nel processo per l'assassinio di Michele Tornatore. Il 62enne di Montoro ritrovato carbonizzato in un'auto parcheggiata in una discarica del comune irpino di Contrada. Il corpo è stato rinvenuto il 7 aprile del 2017.
Parla Vietri
«Non ho mai prestato soldi a nessuno. Tantomeno a Michele. Eravamo amici. Chiedete a chi volete. Non so perché mi stanno facendo questo. Sono innocente». Francesco Vietri ha deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee. Il 54enne di Montoro è accusato di aver concorso nell'omicidio e nella distruzione del cadavere di Tornatore. Accusa, quest'ultima, che condivide con il 30enne di Fisciano, Pasquale Rainone, difeso dall'avvocato Marino Capone.
Ascoltato il figlio di Tornatore
L'imputato ha risposto al figlio della vittima, Domenico, che poco prima aveva parlato di «Problemi avuti dal padre con Vietri a fine anni '90. Per alcuni prestiti ricevuti». E ha aggiunto «Un parente mi ha parlato di alcuni terreni di mio padre, intestati a mia madre, ai quali Vietri era interessato. Una volta mi ero incontrato in un locale con lui. Avevo portato i suoi saluti a mio padre che mi ha detto: stagli lontano, Vietri è pericoloso. So che era uscito di galera da poco».
La ricostruzione degli investigatori
I carabinieri del nucleo investigativo di Avellino e quelli del reparto superiore di Napoli hanno ricostruito parte delle indagini.
«Mi hanno telefonato la mattina del 7 aprile: “Venite, c'è un cadavere in un'auto bruciata in località Serre”. La vettura, una Nissan Almeira Tino, era parcheggiata in una discarica. Ci siamo entrati da un'ingresso con una sbarra aperta. Il corpo nell'auto era carbonizzato. All'interno della vettura abbiamo sequestrato: una collana di metallo spezzata in due parti, un orologio in acciaio modello cromo, un'ascia, la lama di una sega, una macchina fotografica distrutta dal fuoco». Ha raccontato un maresciallo. Nello stesso sopralluogo è stato rinvenuto anche un proiettile sulla schiena del cadavere.
Il testimone ha aggiunto: «In casa, la moglie di Vietri ci ha consegnato dei jeans, un cappuccio grigio, un paio di scarpe di tela e uno di pelle».
Poi l'8 agosto c'è stata un'ispezione nel deposito di Vietri a via Cimitero. Ne ha parlato un maresciallo della sezione investigativa di Napoli.
«Durante l'ispezione al deposito abbiamo trovato un bossolo. Nel locale, sulla destra, un secchio bianco e giallo con tracce di sangue. Altre tracce ematiche erano su una vanga. Alla fine del sopralluogo Vietri è scappato. Lo abbiamo inseguito ma era già fuggito in una campagna intorno al deposito».
L'imputato, come chiarito dai suoi difensori Anna Caserta e Italo Benigni, si è costituito il giorno successivo. Il pm, Simona Rossi, ha spiegato che il sangue sulla vanga era di Vietri, quello sul secchio, invece, apparteneva a Tornatore.
Cosa dice il medico legale
Il medico legale, Carmen Sementa, ha chiarito che: «Il corpo di Tornatore era quasi tutto distrutto dalle fiamme. Abbiamo estratto il DNA da alcuni pezzi di muscolo non bruciati. Poi comparati con il DNA del figlio. Sul corpo ho trovato due fori compatibili con un'arma da fuoco. E' impossibile individuare la posizione di chi ha sparato: le fiamme hanno reso le ossa calcinate e friabili. Il corpo di Tornatore, ritrovato nel bagagliaio, è bruciato a più di 1200 gradi».
Gli amici della vittima raccontano quell'ultimo giorno
Un amico, presso cui Tornatore lavorava, ha raccontato: «Michele era in semilibertà. Veniva da me alle 7.30 e se andava alle 17. L'ho visto preoccupato nei giorni precedenti alla tragedia. Mi diceva che aveva dolori al petto. Poi si era fatto male a una mano mentre lavorava in un terreno. Il 3 aprile l'ho accompagnato io a casa, non aveva l'auto. Poi il giorno dopo non l'ho rivisto».
La Nissan Almeira carbonizzata era intestata all'uomo che l'aveva noleggiata a Tornatore. Un concessionario avellinese ascoltato oggi in aula: «Michele lo conoscevo da tempo. Aveva comprato molte auto da me. Nel periodo nel quale gli ho dato l'Almeira, che era di mia moglie, lui non aveva automobili. La sera del 4 aprile mi chiama un'agenzia di assicurazioni del Nord Italia. La scatola nera sulla Nissan Almeira risultava spenta. Temevano un incidente. Io non sono riuscito a mettermi in contatto con Michele. Ho scoperto solo dopo perché».
L'appello del figlio di Tornatore
Questa mattina in aula c'erano anche i parenti di Tornatore, rappresentati dall'avvocato Pasqualino Del Guercio. Il loro stato d'animo è stato riassunto dalle parole del figlio della vittima, Domenico: «A volte ci svegliamo la mattina e non possiamo ancora credere che quello che è successo sia davvero capitato. Papà era molto riservato. Ha sempre cercato di tenerci fuori dai suoi problemi. Preferiva di risolverli da solo. Nell'ultimo anno e mezzo mi ero un po' allontanato da lui. Ma ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Vogliamo la verità». I magistrati Luigi Buono e Giulio Argenio, affiancati dai giudici popolari, hanno disposto una nuova udienza a settembre.
Intanto l'indagine continua
Nelle scorse settimane è stato eseguito un nuovo sopralluogo nel capannone di Vietri. I carabinieri hanno raccolto altre tracce di DNA poi inviate al laboratorio dei Ris (Reparto investigazioni scientifiche) di Roma. Sono tre gli altri indagati con l'accusa di aver concorso nell'omicidio di Michele Tornatore.