di Luciano Trapanese
Chi ha analizzato il voto avellinese lontano dall'Irpinia, ha colto implicazioni e prospettive solo parzialmente descritte dagli osservatori locali.
La stampa nazionale non ha ritenuto – e giustamente - Avellino una roccaforte rossa, persa dopo 50 anni (come Siena o Imola...). No, per alcuni i 5Stelle hanno strappato il comune alla Margherita (ancora?). Il grillino Toninelli si è spinto oltre: «Abbiamo abbattuto il potere democristiano». Nessun accenno al Pd. Avellino è e resta nell'immaginario collettivo la terra di De Mita (soprattutto) e Mancino. Come se dagli anni '70 a oggi nulla fosse cambiato. E forse è così. Almeno fino al giorno del ballottaggio.
Se la vittoria di Ciampi assume una valenza storica, se la città respira – come si sente dire in giro - «aria nuova», se davvero c'è la sensazione che tutto è cambiato e per sempre, non è certo perché il Pd ha perso. Il motivo è un altro: per la prima volta gli avellinesi hanno detto no a una proposta politica congiunta targata De Mita Mancino. Una proposta che fino a qualche anno fa non avrebbe avuto rivali.
Abbiamo più volte letto o scritto che il Partito democratico irpino è in macerie. Forse ci sbagliamo: qui non è mai esistito. Così come non è mai nata una vera alternativa di centrodestra: all'apice del potere berlusconiano Forza Italia è riuscita a conquistare la Provincia, ma – guarda caso – con all'interno la componente demitiana.
Il leader di Nusco ha avuto influenze trasversali e continue. Negli anni ha cambiato pelle, non metodi. Ha gestito in maniera pervicace il potere. I ruoli chiave, le poltrone che contano, le clientele. Quell'enorme bacino di voti che si chiama sanità.
Ad Avellino Di Nunno è stato fatto fuori perché non rispondeva più a Nusco e Montefalcione. Con Galasso e Foti – eletti con parziali desistenze demitiane - ci sono stati altri problemi. Causati soprattutto dall'usura del sistema, dall'influenza sempre più ridotta dei leader e da una macchina clientelare non più efficiente.
Già, le clientele. Un reticolo che ha funzionato per generazioni. Un welfare made in Irpinia, aperto solo ai fedeli (ed erano tanti, gli stessi che si sono affollati per decenni alla corte del re nel giorno di san Ciriaco), che ha distribuito posti nelle banche, negli uffici pubblici, nelle forze dell'ordine, nel sistema giudiziario, negli ospedali, negli enti. Ovunque. Con dei capisaldi locali come l'Asi, l'Asl, l'Alto Calore, l'Iacp, le comunità montane, i piani di zona. Uomini in ogni dove. Un presidio permanente. Che negli anni d'oro è stato capillare, solido, inscalfibile. E che portava alcuni sostenitori a scrivere – come lungo l'Ofantina - «De Mita per la vita».
Quel potere si è disgregato lentamente. La politica non ha più potuto assicurare gli stessi posti di lavoro, i vantaggi si sono ristretti al sottobosco politico, ai grandi elettori (i signori delle preferenze sparsi in tutta la provincia). E l'età, sia per il leader di Nusco sia per Mancino, è avanzata inesorabile.
L'indebolirsi delle clientele ha di fatto iniziato a liberare l'elettorato. Il voto per interesse (personale), è venuto meno. La forza politica degli ex democristiani, anche. L'esperienza Foti in comune – con o senza De Mita - ha definito i contorni della fine di un'epoca. La vittoria dei 5Stelle l'ha certificata.
Ora si assiste a un altro triste epilogo. Gli ex che tentano il salto della quaglia. Abituati come sono a ritenere la politica mera gestione del potere, non riescono ad accettare l'idea di essere minoranza, di non contare nulla, di non partecipare a spartizioni, di non elargire sempre più misere prebende. Questo vale per gli amministratori, certo. Ma anche per il cosiddetto sottobosco politico, per i vecchi clienti, ormai alla ricerca di altri riferimenti. Uno spettacolo indecoroso, vietato ai minori. Ma che rientra perfettamente nelle vecchie logiche. Se si vuole davvero voltare pagina, il nuovo – che predica il verbo del cambiamento -, dovrà respingere l'assalto e tentare di imboccare un'altra strada. O quella ventata di aria fresca, come si continua a ripetere, rischia di diventare presto un tanfo insopportabile.