L'unica cosa che resta da fare è liberare Aldo Moro dal suo sequestro e dai suoi sequestratori. Per occuparci, finalmente, del Moro politico immenso e visionario, uno di quelli che nei libri di storia ci finiscono perché predestinati.
Marco Damilano, direttore de L'Espresso, ha presentato il suo libro “Un atomo di verità – Aldo Moro e la fine della politica in Italia” (per i tipi di Feltrinelli – pagg. 267 – costo 15 euro) proiettando un punto di fuga dalla fine di una vicenda umana, tormentata, cupa.
Damilano, ospite dell'Università “Giustino Fortunato” di Benevento, insegue lo statista, i suoi progetti, rilegge le carte di cui nessuno (quasi) si è mai occupato. La lenta ma inevitabile risalita di un uomo del Salento che si fa spazio tra i grandi di quell'epoca e arriva, a soli trent'anni, a scrivere la Costituzione. E Damilano nel Salento, a Maglie, ci va per capire come una terra dove il “progresso viene sempre dopo” abbia dato i natali a uno dei pochi uomini che hanno tenuto sempre alto l'orizzonte della politica, riuscendo a guardare oltre. Lui apre al centro sinistra, lui apre ai rapporti con il Pci stando dall'altra parte del blocco sovietico quando la Nato imponeva a tutti di non indietreggiare di un solo millimetro. E quello italiano era il Pci più forte al di là della cortina di ferro, con militanti cresciuti a pane e politica da giganti come Palmiro Togliatti prima e Enrico Berlinguer dopo. Aldo Moro non ne ha paura ma ci dialoga. Proprio a Benevento, il 18 novembre del 1977, presso il teatro Massimo, nel corso di un incontro organizzato da un giovanissimo Mastella, Moro portò tutta l'Italia in un'altra dimensione politica: “Quello che voi siete noi abbiamo contribuito a farvi essere e quello che noi siamo voi avete aiutato a farci essere”.
Per Damilano “via Fani è stato il luogo del nostro destino. La Dallas italiana, le nostre Twin Towers. Nel 1978, l'anno di mezzo tra il '68 e l'89. Tra il bianco e nero e il colore. Lo spartiacque tra diverse generazioni che cresceranno tra il prima e il dopo: il tutto della politica – gli ideali e il sangue – e il suo nulla”.
Moro non è sempre e soltanto la sua morte. Luca Falcone, suo nipote, ha reso bene l'immagine: “Vorrei che di lui tutto saltasse in aria, anche la memoria”. Purtroppo o per fortuna, Moro di sé previde altro: “Io ci sarò come un punto irriducibile di contestazione e alternativa”.
Federico Festa