Mercogliano

La sveglia suona presto. C’è una montagna da scalare. Un meteo instabile da interpretare e magari qualche gadget da conquistare. Il Giro è anche questo. I consigli di mamma e papà non sono be accetti: “ma se hanno detto che devo mettere il giubbino forse è meglio che lo faccio. Anche se non so a cosa servirà, al Giro, almeno in tv, sono tutti in maniche corte e pantaloncini”. La corsa di un bambino verso quei campioni che di solito vede solo in televisione inizia così.

Ai piedi della salita viene il bello. Mancano ancora tante ore all’arrivo, la giornata sarà lunghissima, ma l’entusiasmo è incontenibile. I bimbi giocano in attesa di salire con la funicolare, altra grande esperienza che crea attesa. Dovranno ringraziare il Giro d’Italia anche per questo.

Lo stupore è difficile da raccontare. Mentre si sale gli occhi catturano i particolari. E poi c’è quel paesaggio mozzafiato da memorizzare. In attesa dei ciclisti, quelli veri, ci sono gli amatori da incitare. Una volta scesi dalla funicolare ecco che davanti agli occhi si presenta un mondo nuovo. “Attenzione” si sente da lontano, è un gruppetto di ciclisti pronto a fare gli ultimi 700 metri tutti d’un fiato. Il primo aumenta il ritmo, l’altro fa fatica a seguirlo, ma quello più giovane dopo un po’ lo affianca e lo supera. Girano la curva, chissà come sarà finita…

Salendo verso il traguardo spuntano delle bandiere. Una è nera, gialla e rossa. A sventolarla c’è un signore con la maglietta verde dell’Avellino, racconta di essere tornato dal Belgio proprio per questo evento, ma ieri ne ha approfittato per andare a vedere anche la squadra di calcio. Racconta che in Belgio il ciclismo è più seguito del calcio. Strana gente questi fiamminghi, ma forse è meglio credergli.

Dopo qualche altro metro c’è un gruppetto che ha piantato la bandiera italiana in segno di conquista ed ha occupato, con colore e passione, un masso enorme che sporge nel vuoto.

Poco più avanti c’è una scritta, “Michele sempre nel cuore” e allora la domanda sorge spontanea. Perché c’è quel signore che si è commosso leggendo quella frase dipinta sull’asfalto? Qualcuno lo spiega: ”E’ dedicata a Michele Scarponi, era un bravo ragazzo, è morto in un incidente poco più di un anno fa. Ci manca tanto, in gruppo gli volevano tutti bene”.

Mancano due curve al traguardo. La strada spiana, l’ultimo tornante ormai è alle spalle. C’è già molta gente e soprattutto tante bici. Un bimbo chiede al papà: ”Ma la maglia rosa?” E il papà con un sorriso risponde: “E’ presto per quella vera, ma avvertimi appena vedi un signore che la indossa, gli chiediamo dove l’ha acquistata”. Il traguardo è lì ad un passo. C’è la musica a palla. L’animazione è in azione. C’è un quiz, la domanda non è complicata: “Quale ex ciclista italiano ha vinto Giro, Tour e Vuelta?” Una donna risponde: “Gimondi”. E piovono gadget che rendono tutti felici. In particola un bambino, che ha preso al volo un cappellino. Il papà glielo appoggia sulla testa, il suo sorriso meriterebbe uno scatto. La gioia si percepisce. Quel bambino tornerà a casa da vincitore e lunedì con quello stesso cappellino andrà a scuola.

La corsa si avvicina, “finalmente” dice qualcuno. Ma intanto c’è chi consuma una colazione al sacco e mette in mostra uno striscione dedicato a Gino Bartali che recita così: ”Il bene si fa, non si dice. E certe medaglie si appendono nell’anima non alla giacca”. Tutti i tifosi che passano si fermano, scattano una foto e parlano di lui, spiegando ai più piccoli chi era Ginettaccio, quel Toscano che sfidava il grande Fausto… ma questa è un’altra storia che andrebbe approfondita.

Sono le 16:45 il traffico è chiuso da tempo, arrivano le prime auto della polizia. La macchina perfetta del Giro è già entrata in azione. Il maxi schermo accompagna l’attesa. Ecco il gruppo a Mercogliano. L’entusiasmo sale.

La carovana è lanciata a tutta velocità, all’arrivo si tiene il fiato in attesa che Froome, che è appena caduto, si possa rialzare per tornare davanti. Lo fa velocemente, recupera e guadagna l’applauso della gente. Ma a poche centinaia di metri dall’arrivo c’è uno sconosciuto davanti al gruppo. Chi aspettava Aru o il brittannico si è sbagliato. Arriva dal Sudamerica, precisamente dall’Ecuador, è piccolissimo, sembra realmente un bambino. Uno dei tanti che sono saliti a Montevergine. Taglia il traguardo quasi commosso, ma le sue lacrime si sarebbero mischiate alla pioggia che ha lavato l’asfalto ma non ha mai scalfito la passione della gente, nemmeno dei bambini che incappucciati non si spostano di un centimetro. Del resto l’occasione è unica, chissà quando ricapiterà, e la notizia che bisogna tornare a casa non è certamente la più bella. E allora ecco che scatta la domanda: “Papà torniamo anche domani?” I bambini sono così, come il Giro d’Italia, pieni di passione. Ma magari il Giro passerà anche il prossimo anno e sarà un’altra giornata da raccontare.