di Andrea Fantucchio
Lei aveva sempre sostenuto di aver trovato quel cellulare a terra, i carabinieri la pensavano diversamente: anche perché quello smartphone di ultima generazione apparteneva a una ragazzina di undici anni derubata mesi prima. Così era nata l'indagine poi culminata con il rinvio a giudizio a carico di una 30enne di Atripalda, R.D.I., accusata di ricettazione. La donna ha dovuto affrontare un processo nel quale, assistita dal suo avvocato di fiducia Angelo Polcaro, è riuscita a dimostrare la propria innocenza. Sancita dalla decisione del giudice Sergio Ceraso che l'ha assolta con formula piena: «Il fatto non sussiste».
A febbraio 2014 l'imputata era stata fermata dai carabinieri di Atripalda, agli ordini del comandante Costantino Cucciniello, con addosso il cellulare rubato a un'undicenne che risiede in un comune limitrofo. I militari avevano identificato la 30enne attraverso l'acquisizione di tabulati telefonici dopo aver reperito il codice Imei del telefonino. Di qui l'accusa di ricettazione.
Il difensore di R.d.i. - anche mediante l’escussione di una testimone - aveva sostenuto la versione della 30enne. Il cellulare era stato rinvenuto dalla donna, sporco e rovinato, nei pressi di un bar nella piazza di Atripalda. L'imputata perciò – questo ha sostenuto la difesa – proprio alla luce delle condizioni del telefonino non poteva certo immaginare che il dispositivo fosse stato rubato. Il pubblico ministero aveva chiesto un anno di reclusione e 500 euro di multa, il giudice ha invece assolto la 30enne.