Avellino

 

di Andrea Fantucchio 

Morti bianche, sulle quali aleggia lo spettro del dubbio che potessero essere evitate. Nelle ultime settimane la cronaca ha ricordato alla Campania il dramma degli incidenti sul lavoro, spesso epilogo di speculazioni legate a contratti che valgono come carta straccia e che hanno l’unico vantaggio di far arricchire gli imprenditori sulla pelle dei dipendenti. A Pontecagnano un 59enne è stato schiacciato dall'auto trasportata su una bisarca, un 21enne ha perso la vita in un'azienda di marmi a Sant'Antonio Abate e qualche giorno fa un operaio è stato investito in una ditta di Giugliano. In Irpinia, poi, un 60enne lotta fra la vita e la morte; alla vigilia del primo maggio è stato schiacciato da alcuni pannelli di cartongesso che stava caricando su un camion. Le indagini sono ancora in corso, anzi in fase iniziale, è quindi prematuro poter dare un giudizio sulle cause degli incidenti, la certezza è che questi drammatici episodi si inseriscono in un quadro in costante peggioramento.

Le cifre sono impietose

Per l'Inail (L'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ) salgono a 1029 i morti sul lavoro nel 2017 mentre per l’Osservatorio Indipendente si attestano addirittura a 1380.

«Numeri agghiaccianti ai quali si aggiungono gli incidenti non denunciati», commenta il segretario generale dell’Ugl metalmeccanici, Antonio Spera.

L’elaborazione del centro studi del sindacato ci offre la distribuzione degli incidenti mortali sul lavoro in Italia: Lombardia 32, Veneto 28, Piemonte 20, Campania 18, Emilia Romagna 18, Toscana 16 , Sicilia 15, Calabria 13, Abruzzo 11, Lazio 10, Basilicata 8, Sardegna 7, Marche 5, Liguria 5, Friuli Venezia Giulia 4, Umbria 3, Puglia 3, Molise 2, Trentino Alto Adige 2.

Duecentoventi vittime da inizio anno, la media di quarantacinque ogni mese. Le cause non sono una novità: condizioni di lavoro a limite, violazione delle norme di sicurezza e mancata prevenzione sanitaria. Crescono anche i falsi contratti. O meglio: i documenti sono regolari, ma i lavoratori svolgono mansioni differenti da quelle previste senza che venga tenuto conto dei rischi. Questo assicura ingenti risparmi ai datori di lavoro: manodopera a prezzi stracciati e poco in porta se le attività svolte richiedano un’alta specializzazione.

"Che lavoro fai?"

Il tema è stato affrontato in un'approfondita inchiesta dei colleghi de «La Repubblica». Un reportage che mette a nudo una prassi sempre più diffusa in tante aziende, soprattutto quelle che lavorano nel mondo dell'edilizia.

Lavoratori col contratto da "florovivaisti" che, invece di occuparsi di vivai di fiori e piante, pavimentano abitazioni per terremotati. O dipendenti con contratti multiservizio che svolgono attività specialistiche come la manutenzione di fibra ottica. Paradossi di un'epoca dove per lavorare si è disposti a fare di tutto, anche rischiare la vita. E così non stupisce che la piaga del lavoro nero sia in crescita costante.

Lavoro nero: una piaga in costante crescita

Secondo la relazione di Censis-Confcooperative: tra il 2012 e il 2015 il lavoro regolare si è ridotto del 2,1%, mentre quello non regolamentato è cresciuto di oltre il 6% con oltre 3,3 milioni di lavoratori. Una forza lavoro che si “alimenta” di un monte salariale irregolare di 28 miliardi di euro. Oltre la metà di chi acconsente a lavorare senza contratto è disoccupato da due o più anni. Si tratta di lavoratori che ormai hanno perso ogni speranza e sono perciò disposti a tutto per un’occupazione. La Campania guida con Calabria e Sicilia la poco lusinghiera classifica delle regioni italiane dove il lavoro nero è più diffuso. Significativa la situazione irpina dove nel 2016 le irregolarità riscontrate dalle forze dell'ordine hanno superato il 70per cento: sette attività su dieci  non risultano in regola. Un dato superiore a quello nazionale dove si registrano complessivamente 724.000 sfruttati.

Le leggi ci sono, ma i controlli non bastano...

«Con i nostri mezzi – lancia l'appello Spera - chiederemo alle Istituzioni di conoscere come sono impiegate le risorse regionali e nazionali assegnate alle province sulla formazione per la prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro. In Italia  - conclude  - è necessario rendere consapevole tutto il mondo del lavoro, dagli stessi lavoratori e dalle fabbriche, e le istituzioni della Repubblica, affinché le risorse per l’attuazione di norme e di accordi sindacali sulla sicurezza siano utilizzate efficacemente e con tempi certi affinché si possano impedire altre vittime innocenti».

Al momento è ancora lontana la realizzazione di un piano di contrasto efficace agli incidenti sul lavoro. E non è una questione di regolamentazione. In caso di infortunio, il lavoratore è tenuto ad avvisare il proprio datore che deve condurlo immediatamente al pronto soccorso. Se la diagnosi dovesse superare i tre giorni di prognosi, il titolare  ha l’obbligo di comunicare l’infortunio all’Inail, così da attivare la procedura che prevede la visita medica del lavoratore negli ambulatori dell’ente assicurativo. Il datore di lavoro, in caso di mancata denuncia, rischia una sanzione da € 1.290,00 a € 7.745,00. Ma controlli inadeguati (anche a causa del poco personale), rendono le multe uno spauracchio inefficace contro chi specula sulla pelle dei lavoratori.