Avellino

 

di Andrea Fantucchio

Un danno erariale da dodici milioni di euro e migliaia di crediti che non sarebbero stati riscossi: l’eco dell’inchiesta della Corte dei Conti che ha investito l’Alto Calore è inevitabilmente amplificata dai ruoli istituzionali ricoperti da molti dei protagonisti raggiunti dai sedici inviti a dedurre. Nel mirino dei magistrati sono finiti infatti anche sindaci e un ex consigliere regionale che hanno svolto un ruolo nell’ente di Corso Europa, contribuendo secondo l’accusa a generare l’ammanco contestato. Oltre all’attuale presidente dell’ente, Raffaello De Stefano, e al predecessore ed ex membro del consiglio regionale Francesco D’Ercole, nell’elenco ci sono anche il sindaco di Altavilla Irpina, Mario Vanni, che ha ricoperto il ruolo di coordinatore dell’attività di gestione utenza dal novembre 2011 al marzo 2014, l’ex primo cittadino di  Montemiletto Eugenio Abate membro del cda dal 2010 al 2013, incarico rivestito nello stesso periodo dal sindaco del Comune di San Nicola Manfredi, Fernando Enrico; ai quali si aggiungono Maria Pastore e Pellegrino Vassallo oltre al sindaco di Guardia Sanframondi Floriano Panza.

Nell’indagine della Corte dei Conti sono poi finiti Eduardo Di Gennaro che ha svolto il ruolo di direttore generale dal 2006 al 2015, Francesco Gallo come dirigente alla direzione del servizio utenza commerciale dal 2004 e del servizio amministrativo e finanziario dal maggio 2010, Oreste Montano responsabile del coordinamento e sovrintendenza delle attività relative alla sede di Benevento fra il 2004 e il 2011, Antonio Spiniello come coordinatore dell’attività di gestione commercializzazione dal febbraio al 23 novembre 2011 e successivamente dirigente responsabile del processo idrico fino al maggio 2015, i consiglieri del cda Ilario Spiniello (2010-2013), il capo della segreteria del Ministro all’ambiente Gianluca Galletti, Gennaro Santamaria(2010-2013) e Maria Lucia Chiavelli (2013-2016) ai quali si aggiunge l’ex revisore dei conti del Comune di Avellino Attilio Santoro.

La finanza ha focalizzato la sua attenzione su numerose presunte morosità non riscosse  che  per gli investigatori all’avvio delle indagini  ammontavano a oltre 57 milioni di euro. Sono state poi sequestrate migliaia di bollette e solleciti di pagamento dai quali emergerebbe la mancanza di un’ efficace attività di riscossione dei crediti e di recupero delle morosità che avrebbero agevolato l'evasione sistematica delle bollette sull'acqua da parte di numerosi utenti. Attenzione puntata anche su dei solleciti di pagamento che non sarebbero mai stati recapitati ai destinatari per intervenute variazioni anagrafiche facendo così prescrivere la possibilità di riscuotere i crediti maturati.