di Simonetta Ieppariello

Totò ha mille storie. Tutte più o meno conosciute, tra arte e umanità. E la storia che vogliamo raccontarvi è legata alla creazione della sua poesia più famosa: ‘A livella. (Guarda la nuova puntata de "L'Altra Campania") 

La poesia è una metafora della vita ma soprattutto della morte la quale, come una livella (la bolla usata dai muratori per mettere sullo stesso piano le superfici) non considera le diversità sociali trattando tutti, alla fine, allo stesso modo.  Totò nacque, di padre ignoto, nel 1898 in Via Santa Maria Antesaecula, non molto lontano dalle Catacombe di San Gaudioso che si trovano sotto la Basilica Santa Maria della Sanità.

Il Rione Sanità, le catacombe di San Gaudioso

 

Tutto parte da qui dal suo rione, la Sanità fuori dalle mura della congestionata città, che prende nome dall’aria salubre o forse da molti miracoli che qui si compivano sulle tombe dei santi sepolti nelle cripte nascoste. Tra grotte e cripte cimiteriali, si apre il caledoscopico viaggio tra ricchezza e povertà, vita e morte, palazzi sfarzosi e vicoli con la vertigine del barocco che fa alzare lo sguardo e quello dell’antico genius loci legato al culto dei morti, che lo cattura e lo trascina vero il basso, nelle profondità dei suoi ipogei. Non a caso, furono questi luoghi ad ispirare la famosa poesia A’ Livella di Totò. Quelli dove il piccolo Totò correva a giocare con gli altri scugnizzi del Rione. 

Il piccolo Totò, come lo chiamava la mamma, andò a fare il chierichetto nella grande chiesa per qualche mese quando aveva dieci anni. E lì apprese oltre che il Santo Vangelo molte cose sulla morte, esplorando quel luogo carico di magia e di mistero: i cunicoli sotterranei che i grandi chiamavano le catacombe di San Gaudioso.

 

L'affresco che ispirò Totò 

Il piccolo Totò rimase estasiato dagli affreschi sulla pietra grezza delle pareti, dove venivano esposti in maniera unica i sepolcri dei nobili. Una galleria d’arte macabra, un ciclo di 20 affreschi che ricoprono 30 metri di tunnel nelle Catacombe, realizzati da Giovanni Balducci, al quale si deve la paternità di alcuni affreschi interni degli Uffizi, della Cattedrale di Volterra e del Duomo di Firenze.

Scheletri disegnati su cui veniva posizionato un teschio vero. Sepolture nobiliari disposte secondo preciso schema, con pose plastiche e iconografie misteriose, che volevano gli uomini sistemati sulla sinistra e le donne esattamente sul lato opposto.

Ed è uno dei suoi disegni che ha ispirato Totò per la Livella. Si vede uno scheletro “nudo”, senza orpelli. Ai suoi piedi la clessidra del tempo, un libro, una corona e uno scettro. Tutte cose di cui non ha bisogno. Quando si muore si è tutti uguali, irrimediabilmente.

La cultura, la ricchezza, il potere non hanno senso con la morte che rende tutti uguali, appunto “livella”. Un quadro che colpì molto il piccolo Totò .

Una immagine che entrò vorticosamente a far parte del patrimonio di riflessione del piccolo principe della risata. Poi nel 1964 pubblicò le parole che quell’affresco gli aveva fatto venire in mente , una delle più importanti della letteratura napoletana. Oggi una lapide di marmo con scolpito in bassorilievo il testo ‘A Livella si trova davanti alla cappella di Totò, a pochi metri dal Cimitero degli uomini illustri a Napoli. 

 

La scolatura

Nel Seicento, il sito ospitava quelle sepolture riservate agli aristocratici e agli ecclesiastici realizzate secondo un procedimento importato dalla Sicilia dove i Domenicani lo praticavano da anni. Quello della “scolatura”. Secondo la credenza religiosa permetteva di presentarsi davanti al giudizio di Dio senza impurità.

«Il cadavere calato da una botola - come ci spiega Miryam Cuomo della cooperativa La Paranza -,  e veniva sistemato in una nicchia scavata nel tufo e lì si attendeva la decomposizione. Quando il corpo si gonfiava entravano in scena particolari necrofori, ovviamente sempre domenicani, che pungevano il corpo facendone uscire i liquidi impuri. Da qui il detto napoletano “’O schiattamuorto”, o l’augurio “puozza sculà”, che non era così cattivo in origine.

Tradotto nel Seicento stava a significare, più o meno: “che tu possa presentarti purificato agli occhi del Signore”. Con il passare del tempo il significato è stato completamente stravolto».

Alla fine del procedimento i teschi venivano apposti a vista nelle pareti dell’ambulacro. Poi veniva realizzato un affresco che rappresentava la vita del defunto con simboli e riferimenti al suo status. Si trattava generalmente degli abiti e degli attrezzi del mestiere che rappresentavano la posizione sociale del defunto.

Gli affreschi furono realizzati da Giovanni Balducci, artista che rinunciò al compenso per essere “scolato” e sepolto tra gli aristocratici nelle Catacombe di San Gaudioso.

Il viaggio continua nel Rione Sanità. Autentico, vivo. Affascinante. Sfacciato e misterioso. Il viaggio tra i tesori nascosti fa tappa alla Sanità. Ad accoglierci e farci da guida tra le Catacombe di San Gaudioso i ragazzi della cooperativa  La Paranza, nata nel 2006, bellissimo esempio della voglia di riscatto dei giovani della Sanità, di quella maggioranza operosa, in cerca di speranze e alternative positive.

'O tarallo 'nzogna e pepe

Quel che c’era una volta e ancora c’è è il tarallo ‘nzogna e pepe. Sapori e profumi di una Napoli che è stata e continua ad essere. Laboriosa, frenetica e instancabile nei gusti e tradizioni del cibo.

Sostitutivo economico di un pasto o spezzafame saporito, che nacque povero come forma di recupero di avanzi di impasto per pane e fu arricchito con grasso e pepe. Il grasso era la ’nzogna: per chi lo ignori, strutto, sugna. In seguito il tarallo incorporò le mandorle, uscendo così dalla miseria per diventare leccornia, ma comunque per tutti.

«Ritorto, dorato, friabile e croccante, per decenni è stato il protagonista di serate tra amici per i giovani che si riunivano sul lungomare per gustarlo guardando il mare - spiega Domenico Esposito proprietario del tarallificio del Rione Sanità e presidente dei commercianti del quartiere -». Tarallo caldo e birra fredda. Perché il tarallo vuole la birra, in un sodalizio intimo che ancora si perpetua, quando si passeggia sul lungomare dalle parti di Mergellina.