Nove anni di reclusione. Questa la condanna inflitta a Vincenza Dipino per l'omicidio di Patrizia Attruia il cui cadavere fu scoperto il 25 marzo del 2015 in una cassapanca nell'appartamento di via San Cosma, a Ravello. La sentenza della Corte d'Assise è arrivata questa mattina, concesse le attenuanti generiche e la minima partecipazione al fatto. Esclusi la preterintenzione e i futili motivi. La pena passa quindi dai 23 anni del primo grado ai 9 dell'appello.
Per i giudici dunque a uccidere Patrizia non fu lei. La Dipino si autoaccusò del delitto costretta sotto minaccia dal suo amante Giuseppe Lima, compagno della vittima, poi però ritrattò.
Patrizia venne uccisa nella serata del 25 marzo. Rientrò a casa e scoprì il suo compagno, Peppe, a letto con Vincenza Dipino. Da qui nacque una violenta colluttazione che si concluse con la morte della donna. Lima, in un primo momento fu soltanto accusato di occultamento di cadavere, successivamente di concorso in omicidio. Il pubblico ministero ha chiesto per Lima 30 anni di reclusione. Prossimo appuntamento in aula il 27 marzo prossimo.
Tutto sarebbe degenerato in quella casa a causa della gelosia dunque.
Le due donne sarebbero diventate rivali in amore per l'uomo di casa. Dopo l'ennesima lite tra le due, la Attruia fu costretta, molto verosimilmente, ad assumere massicce dosi di tranquillanti. Successivamente, in base alla ricostruzione degli investigatori, la donna venne strangolata, tra la cucina e la camera da letto. Il corpo fu trascinato per il corridoio e adagiato all'interno di una cassapanca, dove il 27 marzo fu ritrovato, a ben 40 ore dalla morte. A chiedere aiuto fu lo stesso Lima, che si rivolse ad un dipendente comunale per chiedere come comportarsi.
I successivi accertamenti degli inquirenti ricostruirono la scena del crimine ed evidenziato ulteriori particolari. Durante le indagini fu prelevato il dna dalle unghie della vittima, oltre a diversi sopralluoghi effettuati presso l'appartamento dove si era consumato il delitto.
S.B.