di Luciano Trapanese

La narrazione politica nazionale sta imponendo una feroce umiliazione a tutto il Sud, Campania compresa. Nel tentativo di sminuire il risultato elettorale dei 5Stelle si descrive il Mezzogiorno come parassitario e in cerca di assistenza, fannullone e desertificato, disperato e perdente. Il punto è semplice: Di Maio avrebbe vinto in tutte le regioni del Meridione solo e soltanto per il redditto di cittadinanza (che poi diciamolo è in pratica un sussidio di disoccupazione). E nei giorni scorsi circolavano le notizie di Caf presi d'assalto, con file interminabili di aspiranti candidati al “reddito 5Stelle”.

E' bastata questa notizia – decisamente ingigantita - per inondare i social con i soliti commenti sui “terroni”, per tirare fuori dal frigo delle frasi fatte il vecchio armamentario caro alla Lega di Bossi. Per dipingere i meridionali con stereotipi che sembravano sepolti (e non era vero). E per continuare a descrivere il Sud come un deserto industriale abitato da zombi.

Dire che i 5Stelle hanno vinto solo per la promessa del reddito di cittadinanza evita a chi ha perso analisi più radicali. E ne parleremo dopo.

Ma prima, sarebbe utile ricordare che il Meridione non è solo disperazione e disoccupazione. Basta qualche dato, magari da far leggere a qualcuno che qui non ha mai messo piede.

Al Sud – come ricorda sul blog Le Formiche, in una puntuale e dettagliata analisi Federico Pirro, docente di Storia dell'Industria nell'Università di Bari – sono insediate le tre più grandi fabbriche italiane: l'Ilva di Taranto (10.980 occupati), la Fca di Melfi (7.477), e la Sevel di Val di Sangro (6.118). Tre fabbriche e un indotto che coinvolge altre migliaia di persone.

Ma non solo. Ci sono altri grandi impianti di componentistica per auto (come la Fma di Pratola Serra, per i motori), e stabilimenti come quelli della Bosch, Getrag, Bridgestone, Skf, Dayco, Graziano Trasmissioni, Adler group, del settore aerospaziale, dell’industria petrolchimica, della farmaceutica, dell’agroalimentare, della navalmeccanica e del Tac. C'è un alto numero di centrali a turbogas in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e la generazione elettrica da fonte eolica e fotovoltaica è a dir poco importante.

In Basilicata – e lo sapete bene – sono in produzione i più grandi pozzi petroliferi on shore d’Europa. In Abruzzo, Puglia, Campania e Sicilia sono attivi grandi impianti per la produzione di vetri per auto. A Napoli e Brindisi ci sono i due maggiori poli aeronautici dell’Italia meridionale, mentre a Foggia e Grottaglie si costruiscono sezioni in fibre di carbonio del 787 Dreamliner della Boeing. Sono tante anche le fabbriche di prodotti cartotecnici. Ed è superfluo ricordare la consistente presenza dell'industria agroalimentare (Barilla, Ferrero, Peroni, Di Vella solo per citarne alcune), affiancate da centinaia di piccole e medie imprese dello stesso settore.

Insomma, il Sud è in sofferenza, la disoccupazione altissima, le infrastrutture carenti. Ma nonostante tutto la capacità produttiva e gli insediamenti industriali non sono né da terzo mondo e neppure da popolo affetto da parassitismo permanente.

Ma davvero si immagina che quel voto – quasi il cinquanta per cento nel Mezzogiorno – sia frutto solo della promessa di quel sussidio? E' una lettura decisamente banale e semplicistica. Anche perché quella preferenza – che è d'opinione - è stata espressa anche dal ceto medio, da quello impiegatizio, dai piccoli imprenditori, da neolaureati in procinto di emigrare, da commercianti. Innescato da amministrazioni inefficienti, da una politica per il Sud più che assente da ormai venti anni, da inefficienze conclamate, da una classe dirigente sempre più baronale e nepotista, incapace anche di insistere con il solito vecchio sistema: le clientele. Se i partiti tradizionali (Pd in particolare, ma anche Fi), non fanno i conti con tutto questo, se continuano a ignorare le istanze vere del Sud, le sua aspettative, le sue speranze deluse, quel voto è perso per sempre. Non serve dire che «c'è distanza tra cittadini e politica», perché questo è fin troppo evidente (da decenni). E non serve ripetere fiacche banalità o continuare a ritenere il voto grillino come semplice voto di protesta, come “antipolitica”, come populismo. Perché potrebbe anche essere vero, ma non basta e non serve. Le ultime politiche potrebbero rappresentare per i partiti tradizionali davvero il de profundis, la fine di un'epoca. O la rinascita dalle macerie. Ma la seconda ipotesi diventa assai improbabile se l'avvio di una riflessione parte dal “reddito di cittadinanza” e continua con il “voto di protesta”. Il sud ha detto che le proteste sono finite, e vuole cambiare pagina.