San Giorgio del Sannio

Un nuovo processo d'appello per qualificare diversamente l'accusa di omicidio: da volontario a preterintenzionale, con la conseguente riduzione della pena. Lo ha disposto la Cassazione, annullando con rinvio la sentenza di secondo grado per tre delle quattro persone – ma gli effetti della pronuncia riguarderanno anche l'imputato che non aveva fatto ricorso – condannate per la rapina – confermata – e, appunto, l'omicidio volontario di Maria Coppola, la 72enne di San Giorgio del Sannio che era morta all’ospedale Rummo il 18 febbraio del 2014, dieci giorni dopo essere stata aggredita e picchiata nella sua abitazione in via Bocchini.

In particolare, la Suprema Corte ha accolto le argomentazioni esposte dalla difesa – in aula l'avvocato Vincenzo Regardi – di Constantin Pandelea (avvocato Michele Senese), 25 anni, rumeno, residente a San Giorgio del Sannio, indicato come colui che avrebbe colpito la pensionata; Alfredo De Capua (avvocato Regardi), 34 anni, di San Giorgio del Sannio, che avrebbe fornito le informazioni sul 'bersaglio' del raid; Luigi De Vizio (avvocato Vincenzo Todesca), 28 anni, di Torre Le Nocelle, in provincia di Avellino, che aveva preso parte all'incursione nella casa. Ai quali si aggiunge Giuseppe Mottola (avvocati Antonio Leone e Pierluigi Pugliese), 28 anni, di San Giorgio del Sannio, considerato l'ideatore del colpo.

Tutti erano stati condannati dal gup Loredana Camerlengo, con rito abbreviato, il 4 giugno del 2015. In particolare, erano stati inflitti 20 anni a Pandelea, 17 a Mottola, 14 anni ed 8 mesi a De Capua e 16 a De Vizio. A distanza di un anno e mezzo, il 6 dicembre del 2016, la Corte di appello aveva riconosciuto il concorso anomalo e le aveva ridotte, fissandole a 17 anni e 4 mesi per Pandelea, 14 per Mottola, 13 per De Capua e 12 per De Vizio.

Come più volte ricordato, il concorso anomalo, che al momento della requisitoria era stato prospettato dallo stesso pm Nicoletta Giammarino (“Perchè le loro condotte hanno avuto come sviluppo prevedibilissimo l'evento più grave”), non era stato ravvisato dalla dottoressa Camerlengo, che aveva escluso l'omicidio preterintenzionale e non aveva avuto alcun dubbio sull'esistenza del nesso di casualità tra le lesioni subite dalla poverina e la successiva morte.

Secondo gli inquirenti, Maria Coppola era stata legata, colpita con pugni e poi trascinata a terra, dove la sua testa era stata sbattuta sul pavimento. Pandelea aveva aggredito la 72enne, De Vizio aveva rovistato, poi era fuggito quando aveva visto l’altro usare violenza. Doveva essere un furto che nei piani avrebbe dovuto fruttare un paio di chili di oro e 30mila euro in contanti, non un anello e due orecchini. Un raid ispirato e messo a punto, nell’ordine, da De Capua e Mottola.

Una ricostruzione contestata all'epoca dalle difese, che avevano opposto alle conclusioni della dottoressa Monica Fonzo, consulente del Pm, quelle di un loro specialista, il dottore Emilio D’Oro. La morte – avevano sostenuto – è stata causata da un’infezione batterica; dunque, nessun rapporto tra il decesso ed il trauma cranico riportato, peraltro dovuto ad una caduta.  L’anziana era stata schiaffeggiata e legata al braccio destro con un cordino, ma era riuscita a liberarsi. Si era alzata e svestita, quindi era caduta, battendo la testa. Gli imputati – avevano continuato i legali - “non avevano alcuna volontà, alcun intento di uccidere. Volevano soltanto mettere a segno un furto. Non c’era in loro alcuna consapevolezza che l’unico schiaffo dato alla donna l’avrebbe portata al decesso.

Ecco perché – avevano concluso – “manca la prova certa”. A seguire, la sentenza di primo grado- nella stessa occasione un altro rumeno era stato condannato a 4 anni per rapina ed assolto dall'accusa di omicidio, mentre erano state stralciate altre posizioni per il furto e l'incendio dell'auto utilizzata -, poi il giudizio della Corte di appello, che ora, dopo la decisione della Cassazione, dovrà nuovamente esprimersi. Non su un omicidio volontario ma preterintenzionale.

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