di Simonetta Ieppariello
Il sogno di Rossella, la speranza di una cura. Alla fine quel farmaco è arrivato e Rossella ha festeggiato i suoi 18 anni diventando il simbolo della speranza e della ricerca che procede, compiendo splendidi miracoli. Sedici anni fa i medici le diagnosticarono quella malattia rara, non dandole aspettative di vita. In tutti questi anni i suoi genitori hanno lanciato appelli e chiesto aiuto perchè la loro figlia avesse quel farmaco, per sopravvivere a quella malattia rara, che comporta cardiomiopatia e deficit muscolare. La terapia le consente di stabilizzare la malattia. Non una cura, ma la via da percorrere per aspettare quella cura.
Affetta da una rara malattia genetica che colpisce i muscoli, toglie il respiro e può provocare seri danni anche al cuore, Rossella Passero festeggia 18 anni e grazie a lei altri 300 bambini hanno avuto la stessa cura. Si tratta di un medicinale che veniva usato e sperimentato in America. Solo negli Stati Uniti. Chiamata anche malattia di Pompe, la glicogenosi di tipo 2 fa parte di un gruppo di patologie ereditarie.
Oltre 16 anni fa la piccola Rossalla venne portata al Monaldi di Napoli, trasferita dal Santobono nel reparto diretto dal professore Carlo Vosa, il cardiochirurgo che assieme alla famiglia si è impegnato in prima linea per farle avere quel farmaco, impiegato allora in via sperimentale solo negli Stati Uniti, ma non ancora in commercio in Italia. Ciò nonostante, Rossella è da poco maggiorenne ed è un piccolo, grande miracolo della scienza. E’ forte, tenace e sensibile. E nel chiedere quale sia stato il regalo più bello ricevuto parla del suo adorato fratello, di quel carillon e dell’amore della sua famiglia, che le ha dato la forza e capacità di lottare. Sempre.
Quando hai festeggiato cosa hai provato?
«Gioia e voglia di lottare. Ancora. Il mio 18esimo compleanno è stato il 26 dicembre, ma visto che il giorno era festivo, io e mio fratello abbiamo deciso di festeggiarlo il 28 al Golding. È stata una festa indimenticabile, non solo perché i 18 anni vengono solo una volta nella vita, ma soprattutto perché, quando ero molto piccola, i medici che mi diagnosticarono la patologia non mi diedero aspettative di vita».
Cosa ricordi del tuo percorso così difficile per una bambina?
«Conservo memorie e immagini del percorso di tre anni fatto in ospedale, Ma sono poche, non ricordo molto, anche perché la mia mente mi ha portato a rimuovere gran parte di quel periodo. Ricordo il professore Carlo Vosa che appena cominciava a lavorare di prima mattina, passava nella mia stanza (che era affiancata alla terapia intensiva) e a tutti i costi cercava di nutrirmi. Sono sempre stata una ostinata e terribile. Poi ricordo che quando arrivava la sera ed era l'ora di dormire, mamma cercava di farmi addormentare con i grattini in testa per poi andarsene. Io me ne accorgevo e piangendo la chiamavo e lei si sedeva di nuovo al mio fianco, coccolandomi».
E poi ricordo che al mattino, appena svegliata, guardavo dalla vetrata che era al mio lato e tutte le infermiere che mi davano il buongiorno. Ricordo perfettamente il suono del fischio del mio papà che mi veniva a trovare; infine, ricordo i clown che venivano e con loro le risate non mancavano mai. Una carrellata di volti e sorrisi, forza e speranza che mi hanno aiutato a rendere possibile quella vita in una stanza di ospedale.
Oggi cosa ti piace fare? Quali sono i tuoi interessi?
«Mi piace molto studiare, perché credo che la cultura sia alla base di tutto. Ma non solo. Penso che conoscere la cultura sia un viatico di felicità e consapevolezza, sia stimolante e molto piacevole. Inoltre, mi piace ascoltare la musica, soprattutto se tale canzone mi rispecchia. Il mio interesse è la storia dell'arte e di fatti adoro andare a visitare mostre d'arte, monumenti (sono andata a visitare la Reggia di Caserta, il Palazzo Reale di Napoli e Cappella San Severo, Casa Batlló di Gaudí, la città vecchia di di Dubrovnik, etc.. ). E mi piace tanto viaggiare e infatti ho fatto due crociere, visto che per me prendere l'aereo è difficoltoso per la pressione atmosferica in contrasto con il mio respiratore, e abbiamo fatto, la prima volta, il giro del Mediterraneo tra cui abbiamo visitato Barcellona dove si trova la Casa Battló e poi, per la seconda crociera abbiamo fatto il giro delle isole greche; adoro anche la fotografia anche perché credo che sia un ottimo modo per conservare i migliori ricordi».
Cosa ti auguri per il futuro? Cosa ti aspetti dalla ricerca? E cosa suggerisci a chi è un paziente della ricerca?
«Bella domanda! Penso che chi cerchi nuove cure (non solo per la mia patologia, ma anche per altre malattie) sia davvero da ammirare. Mi auguro che i tempi di rilascio di nuove farmaci siano più brevi di quelli attuali perché non tutte le patologie hanno ancora una cura e non credo che sia giusto che una famiglia debba ancora lottare per avere un farmaco, che mantenga in vita il proprio figlio o figlia, appunto come fecero i miei genitori all'epoca».
Importanza della cura e speranza per il futuro, la tua storia è un simbolo...
«La cura che sto facendo adesso non migliora la mia situazione, bensì la mantiene stabile, anche se in un primo momento (quando la cominciai) diede risultati davvero eccezionali, infatti, riuscivo a muovere con una buona percentuale gli arti superiori, adesso, crescendo, sono andati a peggiorare per cui, visto che il mio motto è sempre di guardare avanti e quindi, di migliorare sempre, spero che inventino nuove cure per far sì che io, compresi altri bambini, o ragazzi, con la patologia come la mia possano migliorare e non peggiorare».
Il regalo più bello per i tuoi 18 anni...?
«Il regalo più bello che ho ricevuto al mio 18esimo compleanno è stato di mio fratello: un carillon a forma di una ballerina. È stato il mio preferito per tutta la cornice intorno, visto che ha organizzato questo regalo a mia insaputa, e quindi è stata una vera sorpresa, ma anche perché si è inginocchiato dinanzi a me per poi consegnarmi il regalo in una confezione con dei palloncini con sopra la dedica "a te che sei...". Un valore affettivo non indifferente».
Volontà, intelligenza, passione. Rossella Passero, napoletana di Marano, sorride al futuro con forza e consapevolezza nonostante la sua patologia neuromuscolare fosse considerata incurabile perché l'unico farmaco disponibile non ancora in commercio in Italia e sperimentale negli Stati Uniti. Ecco, invece, com'è andata. Come ve l’abbiamo raccontata sperando che il suo domani sia roseo, lungo e pieno di felicità.
Cosa vuoi dire alle altre persone che affrontano questa ed altre malattie?
«Dico di rimboccarsi le maniche. Di essere forti. Ormai la vita è questa, non si può cambiare o magari si può migliorare: la scienza va avanti».