Gesualdo

 

di Gianni Vigoroso

Da un capo all'altro del paese si è rinnovato come ogni anno, a Gesualdo, l'antico rito dei Falò in segno di devozione a Sant'Andrea Apostolo, la cui festa annuncia l'imminente arrivo del Natale. E' una tradizione che si tramanda di generazione in generazione, nella semplicità più vera della gente. Facciamo tappa in via Colonnello Carmine Calò.

Il fuoco arde davanti alle abitazioni. L'atmosfera è squisitamente familiare. Al falò viene aggiunto uno squisito spaghetto aglio, olio e peperincino, seguito da salsiccia e carne alla brace, zeppole che qui chiamano taralli di patate, babà e buon vino locale. "E' una tradizione che porterò avanti fino alla morte - ci dice un abitante - ogni anno siamo qui ad accendere i falò."

ll culto del Santo è ben radicato a Gesualdo. Sul finire del '500 si ricorda l'adorazione di una sacra reliquia (il Braccio di Sant'Andrea) donata da Eleonora Gesualdo, badessa del Monastero del Goleto, al fratello Principe Carlo.

La preziosa reliquia è incastonata in una piccola scultura rivestita in argento ed è custodita e venerata nella Chiesa Madre di San Nicola.

L'origine del rito dei Falò è descritta in maniera dettagliata dalla Pro Loco "Civitatis Iesualdinae", associazione da sempre attivissima, che ha la sua sede in via Municipio.

"Gli antichi riti pagani propiziatori unirono, con la diffusione del cristianesimo, l’invocazione degli spiriti benigni della natura con il culto religioso verso una figura immateriale che ne rappresentasse la divinizzazione.

Nella cultura cristiana la figura divina Sant’Andrea Apostolo incarna il simbolo della luce, che rompe le tenebre esorcizzando la paura del cupo inverno alle porte, l'accensione di falò in suo onore rappresenta un atto di fede e un'invocazione contro la paura dell'oscurità e un rito pagano che fortifica lo spirito solidale delle genti contro le avversità.

A Gesualdo, sacro e profano si fondono agli inizi dell’800 quando un grande albero di tiglio posto nell’odierna piazza Umberto I, venne abbattuto per ricavare il legno necessario alla realizzazione di una statua da dedicare al santo della croce.

Il legno rimasto venne ammassato su una pila e dato alle fiamme per un grande falò (Vampàleria, in dialetto gesualdino). Da allora, questo rito si è rinnovato ogni anno, senza mai fermarsi neanche di fronte ai drammi dei vari terremoti o delle guerre, perché insito nell’animo gesualdino e nelle sue credenze."