di Luciano Trapanese

Non proprio come la Catalogna, ma Lombardia e Veneto pretendono maggiore autonomia, anzi – dopo il referendum – avanzano la richiesta di diventare regioni a statuto speciale. Lo fanno per una questione di denaro, certo («i nostri soldi restano qui»), ma i quesiti proposti nella scheda referendaria sancirebbero se approvati una autonomia prossima all'indipendenza (e non solo fiscale). L'Emilia Romagna percorre la stessa strada, ma senza la grancassa (e la gran spesa), del voto popolare e ha già da tempo avviato trattative. Linea che vorrebbe seguire anche Emiliano in Puglia.

Un rigurgito localistico che dimentica lo sfascio provocato proprio dalle Regioni. Il baratro economico che si è aperto nei conti dello Stato grazie a questi enti locali, bubboni infiniti di spesa impazzita. Un buco nero di debiti che non riguarda solo il Sud, anzi. Ma che si estende a tutta la Penisola, dimostrando che, forse, il localismo non fa rima con efficienza. E non elimina né la corruzione, né gli sprechi. Li moltiplica.

Il profondo rosso riguarda anche quelle Regioni che si presume siano virtuose. Le stesse che puntano forte all'autonomia totale e che vorrebbero tenere per sé buona parte delle entrate fiscali, rendendo di fatto inutile l'esistenza stessa di uno Stato centrale.

Non crediamo abbiano fatto bene i conti.

Questo è il quadro. Non ha neppure bisogno di commenti.

La Regione più indebitata è il Lazio (quasi venti miliardi), seguita dal Piemonte (nove miliardi), la Campania (8 miliardi), la Sicilia (6 miliardi e 700 milioni), il virtuoso (?) Veneto (due miliardi e settecento milioni), la Toscana (due miliardi e cinquecento), la Puglia (due miliardi e duecento), la ricca Lombardia ha un disavanzo di due miliardi, l'Emilia Romagna (un miliardo e seicento milioni).

Un profondo rosso da 33 miliardi. Che a livello pro capite si legge così: nel Lazio ogni abitante è indebitato per 1854 euro, in Piemonte 1604, in Sicilia 1200, in Emilia Romagna 333, in Campania 253, in Lombardia 218.

Ora, non contente, le Regioni del nord (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, proprio come Trentino e Val d'Aosta), chiedono autonomia totale su altre 22 competenze: sicurezza, istruzione, innovazione tecnologica, politiche del lavoro, tutela beni ambientali, bonifiche, rappresentanza internazionale e all'Ue.

Senza dimenticare l'obiettivo vero: i soldi (e questo ricorda in parte la questione catalana). Ogni cittadino Lombardo versa allo Stato 5mila e 700 euro l'anno, per un totale di 56 miliardi. I promotori del referendum ne vorrebbero trattenere 24.

Al di là della questione economica, ma davvero qualcuno pensa che in un'Europa che si avvia (con grande fatica e tra mille tormenti), a diventare federale, la parcellizzazione italiana serva a qualcosa?

Il fenomeno non è solo italiano. Oltre alla Spagna, che al suo interno ha anche la questione basca e la nascente insofferenza valenciana, ci sono le Fiandre, naturalmente la Scozia e altri focolai territoriali. Insofferenze, spesso alimentate anche e solo per ragioni elettorali. Un po' come la Brexit, che rischia di lasciare in mutande il Regno Unito.

Autonomia non si declina necessariamente con indipendentismo. Ma la Catalogna era una regione ampiamente autonoma, eppure il passo successivo è stato quello di tentare di sottrarsi del tutto al potere di Madrid. Siamo certi che non accada anche in Italia? Anche senza nessuna ragione storica, linguistica (il catalano è una lingua, il veneto o il lombardo solo due dei tanti dialetti di questo Paese), logica.

Ma soprattutto: davvero ritenete che la gestione localistica delle risorse sia una risposta alla crisi, un modo per ricostruire efficienza economica, e non piuttosto una drammatico passo indietro? I conti delle Regioni sono illuminanti. Debiti e cattiva gestione ovunque. O in Lombardia hanno già dimenticato gli scandali che hanno coinvolto la loro “eccellente” sanità e il celeste presidente Formigoni? Per non parlare dei tanti amministratori collusi con la molto meridionale 'ndrangheta?

Davvero dobbiamo iniziare a immaginare il libero stato delle Due Sicilie?