San Potito Ultra

 

di Andrea Fantucchio 

«Tre immigrati malati di tubercolosi (due portatori sani), tra i richiedenti asilo alloggiati a San Potito Ultra». Le parole del Prefetto, Carlo Sessa, getteranno inevitabilmente altra benzina sul focolaio di preoccupazione che da ieri sera è divampato ad Avellino, dopo la notizia della chiusura della scuola media, Leonardo Da Vinci, per un caso di tubercolosi. (Clicca sulla foto di copertina e guarda il servizio video)

Si tratta, lo avete letto in questi giorni, di un 12enne di San Potito. E' stato ricoverato sabato scorso. Da allora, come spesso capita in questi casi, si è innescata una psicosi collettiva. Alimentata dalla preoccupazione comprensibile dei genitori degli alunni che studiano nella scuola del centro dove questa mattina è partita la profilassi. Come accaduto anche nel Comune di San Potito.

Ieri comunque, per tornare al caso della Leonardo Da Vinci, una delegazione di mamme è andata prima all'Asl e poi al Comune. E ha ottenuto la chiusura della scuola. Le attività di pulizia e disinfezione sono state affidate alla ditta Gener Service di Francesco Passariello. Oggi già a lavoro. Si punta a riaprire la scuola sabato tre giugno.

Intanto in città non si sono ancora placate le polemiche. Abbiamo ascoltato le voci di alcuni protagonisti. Per ricostruire la vicenda e capire cosa accadrà da qui a breve.

Partiamo proprio dal Prefetto, Carlo Sessa.

«Non voglio parlare di allarme tubercolosi. Stiamo continuando a monitorare i centri d'accoglienza. E il servizio sanitario può affrontare al meglio la situazione. Sul caso di San Potito le dico quanto appreso dal collega che si occupa dell'accoglienza. Fra gli ospiti del paese ci sarebbero due portatori sani di tubercolosi e un terzo ragazzo che avrebbe avuto dei problemi con i controlli. Ma la situazione è gestita alla perfezione».

A questo punto abbiamo cercato di rispondere a quello che si stanno chiedendo un po' tutti da ieri pomeriggio: l'Asl e la scuola dovevano muoversi prima?

La preside, Giustina Monteforte, non ha dubbi: «La procedura è stata seguita alla perfezione. Non abbiamo avuto comunicazioni ufficiali di studenti malati di tubercolosi. Fino a quando l'Asl non mi ha chiesto, in modo informale, un elenco degli alunni della classe interessata, del professore e del personale che lavora sullo stesso piano. Elenco che è stato fornito. Ieri ho tranquillizzato alcuni genitori. Gli stessi che poi sono andati all'Asl e in Comune. Dove hanno ottenuto una richiesta di disinfestazione che ho prontamente rigirato all'Asl».

Anche il Comune difende il proprio operato. Spiega il vicesindaco, Maria Elena Iaverone: «Ieri una delegazione dei genitori si è recata da me e dal sindaco che ha subito mobilitato l'Asl. Abbiamo avuto un contatto informale. Ci sarà una profilassi per bambini e insegnanti».

Dopo i fatti di ieri, comunque, molti si chiedono se si possa parlare di emergenza. Anche a causa degli altri sette casi di tubercolosi che si sono registrati nell'ultimo mese.

Il primario del reparto di malattie infettive dell'ospedale Moscati, Nicola Acone, non ha dubbi. Questa mattina, intervistato dalla collega Simonetta Ieppariello, ha spiegato: «Un tavolo con la Prefettura sarebbe necessario. Proprio per evitare allarmismi. L'anno scorso i casi di tubercolosi in Italia sono stati 38. Quest'anno siamo già a 18».

Ma come siamo messi rispetto al resto d'Europa? Come riportato da un articolo di Repubblica di marzo, il rapporto dell'Oms Europa e centro per il controllo delle malattie (Ecdc), parla 3769 casi in Italia nel 2015, a fronte 320mila nella regione Europea più ampia dell'Oms che arriva fino in Russia.

Secondo lo stesso documento le categorie più a rischio sono detenuti e immigrati.