Caivano

di Siep

«In quell'isolato, al primo piano c'era la stanza dei bambini... Lo sapevano tutti e tutti sapevano quello che succedeva. Mi hanno messo in mezzo. Io non sono uno di loro. Io sono di Afragola». 

Sono le parole di Raimondo Caputo, Titò, il presunto orco di Fortuna abusata e uccisa a sei anni nel Parco Verde di Caivano.

Nessun contraddittorio ma un racconto reso in maniera spontanea. Una stanza dei bambini in quel palazzo dal quale precipitò nel vuoto il 27 aprile del 2013, il piccolo Antonio Giglio, figlio di Marianna Fabozzi, che nel processo Fortuna Loffredo è coimputata con Titò per concorso in violenze sessuali sulle sue tre bambine. La stessa Fabozzi è indagata dalla procura di Napoli per omicidio volontario per la morte del piccolo Antonio, e Titò per concorso nello stesso reato.

Rigettata dal giudice la richiesta di confronto tra i due prima compagni.

Inoltre Barbarano ha rigettato la richiesta di ascoltare in aula la prima figlia di Marianna Fabozzi, abusata da Titò con le altre due sorelline, la cui testimonianza costituisce la prova principe dell'intero dibattimento formalizzata e cristallizzata in due udienze dell'incidente probatorio.

Ora Tito ribalta lo scenario di sottofondo. Parla di una presunta rete di pedofili.

Ma in aula c’è stato anche un altro colpo di scena. Paolino Bonavita, avocato di Titò, ha consegnato un memoriale di un detenuto, compagno di cella di Caputo, che avrebbe raccontato quanto riferito dal presunto orco. Insomma, il compagno di detenzione riferisce che Titò gli avrebbe confessato l’omicidio di Fortuna, ma che sarebbe avvenuto in maniera diversa. Perchè l’avvocato difensore del presunto orco ammetterebbe l’omicidio? 

Perchè il racconto della dinamica è diverso dalle accuse della figlia di Fabozzi. Titò avrebbe ucciso Fortuna scaraventandola dalle scale, poi l’avrebbe lanciata dal finestrone. Non come descritto dalla bimba accusatrice.