di Luciano Trapanese

«Sono morti decine di bambini in un naufragio? E chi glielo ha detto di partire. Qui non c'è posto, siamo già troppi. E che nessuno si azzardi a comparare questi bimbi annegati ai NOSTRI ragazzini, i martiri di Manchester».

Lo abbiamo letto sul web. Uno dei tanti commenti dopo i naufragi al largo della Libia. E ne abbiamo letti anche di peggiori, che solo per pudore non riportiamo.

Siamo sicuri che chi li ha scritti è meglio delle sue parole. Ha solo una fottuta paura del futuro. E ha appiccicato quella paura sulla faccia dei migranti. Colpevoli di tutto. E quindi: basta cacciarli via per ritornare al nostro prospero passato.

Sapete bene che non è così. Siamo capitati nel bel mezzo di una rivoluzione epocale (che travolge tutto, a partire dal mondo del lavoro), uno di quei passaggi della storia destinati a stravolgere il presente. E tutto accade velocemente.

Anche per questo, iniziative come il Festival del W&W – Welcome e Welfare - Porti di Terra, la tre giorni dedicata ai temi dell'immigrazione e dell'accoglienza, sono fondamentali. Per innescare un dibattito vero, serio e senza paraocchi. E tentare di proporre delle soluzioni accettabili, condivise, di buon senso, su uno dei temi chiave (uno fra i tanti), di questo periodo: l'immigrazione. Mettendo da parte gli estremismi (buonisti e cattivisti), gli slogan, la pancia degli italiani. Si torna a ragionare.

Ma per farlo, superate quella fottuta paura. Vestitevi di coraggio. Il coraggio di andare anche oltre i pregiudizi (che fanno comodo: sono un angolo caldo dove rannicchiarsi con le proprie rassicuranti – anche se discutibili – certezze), oltre le frasi fatte. Oltre l'inutile e rassicurante “ora basta!”.

Facciamola semplice. Al Festival (che inizia domani: guarda il programma) si parlerà molto del modello Sprar di accoglienza. Doveva essere il “modello”, ma è stato scavalcato dal buco nero dei Cara (un pozzo lager dove annegano milioni di euro). E dall'affare sempre più sporco dei Cas, i centri di accoglienza, quelli che conoscete: dove i migranti stanno a ciondolare, i residenti che mal li sopportano passano velocemente dalla protesta, all'indignazione, alla paura dell'altro e qualche furbo senza scrupoli fa affari d'oro.

Gli Sprar, appunto. Tre migranti ogni mille abitanti. Gestiti dai comuni e senza privati che si gonfiano le tasche sulla pelle di chi arriva in Italia. Ma non solo: questi centri prevedono anche un welfare che aiuti le famiglie italiane in difficoltà, contribuisce alla crescita economica e sociale di tanti piccoli paesi. Oltre, ma è un pregio collaterale, a stoppare gli speculatori. E soprattutto, offre una gestione vera dell'accoglienza. Capace cioè di non creare futuri disadattati, destinati a finire nelle mani di sfruttatori o nella rete della criminalità, ma cittadini in grado di integrarsi.

E per questo il Festival parla anche agli amministratori locali. Ai sindaci dei piccoli comuni del Sannio, dell'Irpinia e del Cilento. Potrebbero essere loro i protagonisti di questa piccola – ma fondamentale – rivoluzione.

Ci fa piacere riportare un caso. Quello di Marzano di Nola. Forse ricorderete, qualche mese fa l'intero paese è sceso in piazza (mancavano solo i forconi), per protestare contro l'apertura di un centro di accoglienza per immigrati. A capeggiare quella rivolta il sindaco, Trifone Greco.

Ebbene lì non si aprirà nessun Cas. Ma il primo cittadino ha appena dato la sua disponibilità e quella dei suoi concittadini ad ospitare uno Sprar.

Come dire: provate a guardare la questione da una prospettiva possibile, e non ci sarà bisogno di rivolte, rabbia e ruspe per esorcizzare una paura che non ha senso di esistere.

E da una prospettiva diversa si sono avvicinati anche i ragazzi del Vivaio di Ottopagine, che hanno realizzato un cortometraggio (sarà presentato al Festival, ma se cliccate in alto potrete vedere in anteprima alcuni minuti), sugli ospiti degli Sprar tra Benevento, Chianche, Roccabascerana e Petruro. E' un documento/testimonianza (si intitola Soffia nel vento, ispirato alla celeberrima Blowin' in the Wind di Bob Dylan), raccontato dai beneficiari. Che ha aperto gli occhi e il cuore dei nostri ragazzi. Non avevano mai incrociato davvero lo sguardo con chi è stato costretto a fuggire per costruirsi un futuro altrove. E' stato emozionante. Ha insegnato molto a loro. E a noi, che abbiamo avuto il privilegio di assistere a quell'incontro.

Il Festival è aperto a tutti. Partecipate, anche solo per capire se davvero c'è una strada diversa. Per tutti noi.