di Luciano Trapanese

«L'Irpinia non diventi terra di trincea. Una terra che costringe le persone perbene ad allontanarsi dalla vita amministrativa, lasciando il governo in mano a opportunisti senza scrupoli».

Lo ha dichiarato la presidente del consiglio regionale, Rosa D'Amelio. Il riferimento chiaro è ai sindaci sotto attacco: Mario Bianchino, a Montoro, e Costantino Giordano a Monteforte Irpino. I due casi più recenti. Ed eclatanti. Ma forse non i soli.

E' un timore fondato. Perché è da lì, dall'addio all'impegno pubblico della parte sana dell'Irpinia, che si concima il terreno necessario alle infiltrazioni della camorra.

In tanti hanno già rinunciato a qualsiasi ambizione politica. Tra mancanza di fondi, emergenze di ogni tipo, burocrazia, inchieste della magistratura ordinaria (basta la denuncia della parte avversa e si finisce indagati), la scure della Corte dei Conti, il mestiere di sindaco prevede più guai che soddisfazioni. Se a tutto questo si aggiunge l'ombra inquietante degli interessi della camorra, il quadro è completo.

A Bianchino e Giordano è arrivata la solidarietà di tutti. La settimana prossima la commissione regionale anticamorra si riunirà proprio a Montoro, dove il primo cittadino è ora sotto scorta. Un segnale, piccolo ma importante. La reazione deve essere immediata, compatta e forte.

Ma la situazione è davvero complessa.

Il pericolo è stato ribadito più volte negli ultimi anni. La crisi economica ha ridotto sul lastrico imprese e casse comunali. Gli unici – o quasi - in grado di assicurare liquidità sono proprio gli esponenti della malavita organizzata.

C'è un esempio che abbiamo ripetuto anche altre volte: se un imprenditore in odor di camorra avvicina un sindaco, gli propone la costruzione di un centro commerciale nel territorio comunale e in cambio di un “occhio di riguardo” per concessioni e licenze offre l'assunzione di dieci, venti persone del paese, non è scontato dire di no. Non c'è neppure bisogno di minacciare. Le ritorsioni – nel caso – arrivano dopo un rifiuto. E non sempre sono così eclatanti da attirare l'attenzione dell'opinione pubblica. Ma non solo.

Gli appalti pubblici, i fondi europei, il patto per il Sud, c'è una ricca torta da spartire. Milioni di euro. E quando si sente l'odore dei soldi, la criminalità organizzata arriva sempre. Del resto l'Irpinia è diventata terra d'interesse mafioso dopo il terremoto. E sapete tutti perché.

L'appello di Rosa D'Amelio va oltre il banale (quelle frasi tipo: non abbassiamo la guardia, più controlli e così via). Perché la prima barriera da difendere è proprio quella. Se al governo delle amministrazioni non ci sono persone perbene, tutto è inutile. L'infiltrazione è già bella e servita.

Resta un punto. Molte persone perbene (non tutte sia chiaro), hanno già rinunciato alla vita politica. Si sono rintanate nel privato. Una eventuale deriva criminale potrebbe aggravare l'esodo. E allontanare chi ancora mette in gioco il suo impegno per il bene della comunità. Proprio per questo è importante oggi fare quadrato intorno a Bianchino e Giordano. Testimoniare una concreta vicinanza. Non solo da parte delle istituzioni, ma – e soprattutto – dei cittadini. Anche perché, come ha ricordato il segretario provinciale di Rifondazione comunista, Tony Della Pia, «la mafia è una montagna di merda». Non sarà stato elegante. Ma il concetto è quello giusto.