Grottaminarda

 

 

di Pasquale Cuomo*

«Penso che queste olimpiadi di filosofia ci abbiano offerto, fra le altre cose, la possibilità di mettere in campo le nostre conoscenze, il confronto fertile con quanti condividono la mia stessa passione e la bellezza del parlare la stessa lingua».

A parlare è Martina, una degli ottantasei ragazzi che dal 27 al 29 marzo ha partecipato alla fase finale e nazionale delle olimpiadi di filosofia a Roma.
I più diranno: «Ma come? Le olimpiadi di filosofia?».
Ebbene sì, le olimpiadi di filosofia. Un osservatore cinico e realista potrebbe dire che è una sorta di sagra di futuri disoccupati o futuri pescatori di tonno.
«Con la filosofia non si lavora», tuonano i più e in minima parte hanno ragione.
Ma a Roma, in quei due giorni, ho visto quanta intelligenza, quanta passione e forza ci sia in dei ragazzotti appena maggiorenni o ancora diciassettenni. Ragazzi in grado di declamare poesie in greco e latino a memoria, leggere “Il Simposio” di Platone in lingua originale (greco antico, non una lingua a caso), o più semplicemente ragazzi disposti a rinunciare al sonno pur di parlare ancora un po’ di chi fosse meglio tra Hegel e Kant, di discutere animatamente e poi sorridere. Sembra strano, ma ho visto sorridere tutti, per due giorni. Tutti fuori dalla realtà, con la testa persa fra le nuvole, pardon, nell’iper-uranio. Non c’era ansia per la prova che avrebbe decretato il campione nazionale, non c’era bisogno di primeggiare, c’era la voglia di stare insieme. Perfetti sconosciuti stabilivano un contatto in un attimo, tra un filosofo e l’altro, forse delle amicizie.
La rivincita dei “soggettoni” che si sono sentiti protagonisti, sempre.
Partecipando in maniera attiva al programma “Zettel debate” di Rai cultura, ad esempio. Scoprendosi sulle pagine del “Corriere della sera” dopo esser stati ascoltati e fotografati mentre erano presi a discutere su cosa fosse la satira e la fede, lottando contro il tempo per dire tutto ciò che pensavano e confrontarsi. E no, non tutti quelli che erano lì da grande vogliono fare i filosofi. Aspiranti matematici, linguisti, politici e medici, e non solo, stavano lì sereni, soddisfatti e pieni di passione e cultura a spiegare, ad esempio perché un politico debba amare la filosofia o di come proprio la filosofia possa far innamorare della matematica.
Toccare con mano, vedere e sentire, l’utilità della filosofia, la sua bellezza. Il dialogo, il confronto con magari chi è un pozzo di scienza capace di farti dubitare di averci capito qualcosa, in generale, della filosofia fanno crescere ed imparare: danno forza. Perché se queste sono le eccellenze italiane, allora c’è speranza. Poco più di ottanta ragazzi, quattro per regione, con delle idee, decisi a sfidare Wittgnestein, Russel e Nietzsche o a dialogarci, per scriverle e ancora, subito dopo averle scritte pronti a parlarne di nuovo.
Molti non sanno neanche che esistono, queste olimpiadi, a molti la filosofia neanche piace. Sembra così astrusa, così lontana dalla realtà, proprio colei che della realtà deve parlare ma a Roma, in quei due giorni l’ho vista più concreta che mai nelle parole dei miei coetanei
“Roma è stata un'esperienza unica, che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con coetanei su temi che mi appassionano e che studio. I ragazzi con cui ho legato sono stati magnifici e sportivi, si respirava un'aria serena” mi dice Riccardo.
E in quell’atmosfera serena non riuscivo a far altro che pensare a due frasi da dedicare romanticamente, quasi melensamente ai miei compagni, alcuni di loro divenuti persino amici.
“Coloro che danzavano erano considerati folli da quelli che non riuscivano a sentire la musica” F. Nietzsche.
“I filosofi hanno interpretato il mondo, ora bisogna cambiarlo” K. Marx

*Studente del Vivaio di Ottopagine, il corso di Giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro