di Luciano Trapanese

Su un punto i leader europei sono tutti d'accordo: l'unico futuro possibile è nella Ue. Una Unione, che sia diversa, solidale, umana. Veramente unita.

Tutti – più o meno – aggiungono: siamo rimasti fermi mentre la storia correva, è il tempo di riprendere il cammino.

Tutti hanno individuato anche le questioni: giovani, lavoro, immigrazione, welfare, sicurezza.

Tutti hanno segnalato i pericoli: il populismo, la democrazia traballante, la libertà e i diritti a rischio.

Parole. Anche perché il problema resta sempre quello: le soluzioni. E sulle soluzioni si procede in ordine sparso. Ognuno in difesa dei suoi piccoli interessi, del suo spicchio di sovranità.

Nel 60esimo anniversario dai Trattati di Roma (atto costitutivo della Comunità europea), è andato in scena il solito copione: buone intenzioni, discorsi carichi di emozione sulle opportunità (e la necessità) dello “stare insieme”. E le consuete divisioni.

Nonostante Trump, Putin (schiettamente nemici della Ue), e la crescita esponenziale all'interno dei singoli confini dei partiti euroscettici.

E' una classe dirigente che sembra non all'altezza. O comunque troppo preoccupata del proprio orticello elettorale: politiche troppo europeiste – si suppone – rischiano di far crescere i nazionalismi.

Servirebbe più coraggio, più visione. La capacità di comunicare senza tentennamenti cosa davvero può significare un continente unito. E l'umiltà di ammettere che Bruxelles non può essere governata da burocrati che misurano lo 0,1 di deficit per imporre sanzioni (e chiudono bellamente tutte e due gli occhi se alcuni stati calpestano diritti civili – Ungheria e Polonia – o sono del tutto contrari a soluzioni comuni sulla questione epocale dell'immigrazione - quasi tutti, ma sopratutto Ungheria e Polonia -).

Sulla sicurezza non si è approfondita la necessità di scambiarsi informazioni tra le diverse intelligence.

Su un welfare comune ci si è arrampicati sugli specchi della retorica.

Sulle due velocità si è adottata una formula molto prossima alle convergenze parallele (come dire: nulla).

Forse si arriverà (ma quando?) a un esercito comune (ma solo perché Trump ha deciso di tagliare i fondi alla Nato).

Divisioni anche sulle sanzioni alla Russia. Per non parlare delle questioni economiche: lì si è preferito sorvolare. Anche perché non sarebbe mai arrivata una firma unanime.

Un peccato. Un continente coeso e solidale è una strada indispensabile per uscire dalla crisi più grave dal dopoguerra. Soprattutto per i Paesi più esposti. Come l'Italia. Come l'Italia meridionale soprattutto.

Chi è meno giovane la ricorda l'Europa delle nazioni. Passaporti, permessi, monete diverse. Oggi un giovane è libero di immaginarsi ovunque nel continente. Può scegliere di vivere a Berlino come ad Amsterdam, a Barcellona come a Londra (ops, non è più così facile).

Vi sembra poco, vi sembra niente?

L'Europa è la nostra casa. E non dai Trattati di Roma. Ma da sempre. Storia, cultura, molte tradizioni. Popoli. O dobbiamo dimenticare che – solo per parlare della Campania -, tra Svevi e Longobardi, scorre nelle nostre vene molto sangue dell'estremo nord?

Rinchiudersi nei confini nazionali, rimpiangere la liretta, e affrontare con le nostre misere forze il mercato globale, non sembra la migliore delle idee.

Ma avremmo bisogno di un'altra Europa. Quella immaginata da chi ha firmato i Trattati di Roma. E non questa copia balbettante e sbiadita, che di fronte a rischi concreti di una imminente implosione, è capace di firmare un documento che tutto dice. E quindi nulla afferma.