Da Pietro Serra, presidente di "Alternativa Futura per l'Italia", riceviamo e volentieri pubblichiamo.

I fatti di Napoli devono scuotere le nostre coscienze. Partendo dal principio di Voltaire: «Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo». 

Già. Perché si può essere favorevoli o contrari alle idee di Matteo Salvini, ma chiunque in uno Stato democratico ha diritto di parola. Anche a Napoli. Se poi i napoletani, o più in generale i campani, non ne condividono le posizioni, non lo seguano e soprattutto non lo votino. Se l'interlocutore viene considerato zero, certamente non si creerebbero scontri regalando all'avversario la palma del martirio.

Ben diverso è chi in nome dell'antifascismo, mette in pratica azioni violente, che il fascismo lo superano. Con slogan al limite della legalità: "Salvini impiccati", "Salvini, vedi Napoli e poi muori".

Ma questi giovani, che a Napoli hanno scatenato il finimondo, perché non hanno usato lo stesso trattamento nei confronti di Renzi e compagni che contemporaneamente parlavano a Torino? Dov'erano quando arrestarono gli assenteisti del Loreto Mare? Perché non utilizzano la stessa foga nel combattere e reprimere il cancro della camorra? In branco, leoni. Da singoli, incapaci. Supini perfino all'abusivo, che anziché incentivare la legalità, gli danno la monetina per contentino. E guai a ribellarsi, con le conseguenze che tutti sappiamo. Dunque, il problema di Napoli è Salvini?

La democrazia è fatta di parole, di scambi più o meno pacati di opinioni e di accesa dialettica. Si usa il dialogo. Non le bombe carta, i petardi, i cassonetti divelti, le pietre o i bastoni. E non con i feriti che tracciano un bilancio pesantissimo: 28 feriti tra poliziotti e funzionari, 6 tra i manifestanti, 3 arrestati e 3 denunciati.

Dopo gli scontri rimangono le domande. Cosa hanno risolto i barbari incappucciati? Oltre ad aver devastato la loro Città, quale opposizione hanno creato al segretario della Lega Nord? Salvini va e viene, ma i danni alla Città rimangono. E sono sotto gli occhi di tutti. Come l'ipocrisia di certa stampa, che anziché condannare i violenti, in un certo qualsenso li hanno supportati e perfino giustificati. Ma se l'avessero fatto giovani o associazioni legati alla destra, avrebbero utilizzato lo stesso metro di giudizio?

Nonostante tutto, il leader del Carroccio, forte del dissenso utile ad essere tramutato in consenso, ha avuto la meglio parlando di contenuti. Istruzione, sicurezza, sanità. Mentre fuori Polizia e Carabinieri combattevano i deliquenti dell'estrema sinistra. 

Ma più che politico, il fatto è culturale. Democrazia contro pensiero unico, dialettica contro violenza. E in questa vicenda pesa tutto. Parole e silenzi. Come quello del Movimento 5 Stelle che non ha preso parola al fine di condannare gli scontri nella barbarie partenopea. E son forse peggiori le parole degli esponenti PD, che per difendere Salvini hanno isolato ulteriormente Luigi De Magistris. Un sindaco cui va ribadito l'articolo 21 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Reprimere chi la pensa diversamente non è democratico, ancor meno civile. Star dalla parte dei violenti significa esserne complice. Fomentare la massa nel lungo termine può avere conseguenze impreviste e nefaste.

Chi ha paura delle idee e del confronto, è un perdente in partenza.