Quindici

«E’ un vile attentato, che è sotto gli occhi di tutti, commesso da vigliacchi, persone che non hanno il coraggio di affrontare le questioni, se ci fossero». Paolino Bonavita è scuro in volto, affranto. Soprattutto preoccupato, per sè e la sua famiglia, ma anche per l'intera comunità quindicese che si appresta a tornare al voto, per il rinnovo del Consiglio Comunale, in un clima di paura e di tensione che sembra riportare indietro negli anni, ai tempi delle faide tra i clan.

Ad ogni modo, da gentiluomo qual è, pur non avendo così tanta voglia di parlare, l'ex capogruppo di minoranza, che da mesi ha annunciato il suo ritiro dalla scena politica quindicese, affronta il microfono e con decisione denuncia l'accaduto lanciando un chiaro messaggio agli attentatori. «Mi ritengo una persona onesta, un uomo dedito al proprio lavoro, sia come libero professionista che come dipendente della pubblica amministrazione. Cerco di svolgere il mio lavoro in modo onesto, leale, trasparente, senza ledere i diritti altrui. Se qualcuno vanta pretese nei miei confronti, basta chiedermi e gli sarà reso conto. Sono pronto a discutere qualsiasi pretesa vantata purché me lo chiedano. Se poi questo è un fatto da collegare alla vita politico-amministrativa passata, presente o futura, a questo punto non ho parole per condannare quest’anno vile».

«Se così fosse - aggiunge Bonavita - sarei troppo deluso ed amareggiato di vivere in questo paese. Chi svolge nella propria comunità un’attività politico-amministrativa non può accettare, né eseguire o comandare a compiere un atto del genere. Nel 2015 la democrazia è arrivata in tutti i paesi, dovrebbe essere arrivata anche a Quindici. Quest’anno è invece la risposta ad un paese nient’affatto democratico. Non ho subito né minacce né pressioni. Ed è questa la cosa più grave, che mi preoccupa tantissimo. Se avessi subito minacce, da avvocato avrei già denunciato i fatti alle autorità competenti. Denuncerò chiunque, raccontando alle autorità qualsiasi indizio in mio possesso, poiché gli attentatori devono pagarla cara. In un’Italia democratica e civile persone del genere non possono vivere. Questa è gente destinata a vivere nei paesi nord africani, in Kenia e negli altri paesi dove ci sono ancora le guerre tribali. Sono preoccupato».

 

Rocco Fatibene