«Guariscimi Signore, guariscimi!». Parole che rimbalzano da un angolo all’altro della Chiesa. Parole dense, spontanee, umane. Invocazioni di fedeli diversi dagli altri, che partecipano ad una messa diversa dalle altre. Sì, perché quella di lode è una messa particolare. Un rito che non si basa solo sui Vangeli e sulle prediche pastorali. Qui è l’uomo a parlare, a farsi sentire. A implorare, a lodare. E non in silenzio, con il capo chino.
Qui in Irpinia, è Padre Michele Bianco a celebrare le Messe di Lode, nel santuario S. Ciriaco presso Torre le Nocelle. Messe maestose, che riuniscono fedeli da ogni angolo della Campania. Nei giorni stabiliti, questo paesino di 1200 abitanti improvvisamente si riempie. Pullman gremiti di persone, tutti venuti per lo stesso fine: elevazione spirituale, ricerca di loro stessi e di Dio.
Questa massa umana però è vista un po’ con sospetto da parte dei torresi. A parte gli organizzatori, sono pochi i paesani che si azzardano anche solo ad avvicinarsi al santuario. Girano molte voci intorno a questo tema. Per alcuni è tabù, e fanno finta di nulla. Altri, che non ci sono mai andati, hanno semplicemente paura. Paura di cosa, non è dato saperlo.
Come se un rito un po’ fuori dagli schemi vada per forza a braccetto con esorcismi e simili. Pregiudizio errato, non ha nulla a che vedere con quel lato “oscuro”. Questo per il semplice fatto che i fedeli non sono posseduti da alcun demone. Solo da un uragano di emozioni, che si amplificano una volta varcata quella soglia.
Una chiesetta non molto grande. Stracolma, ma ariosa. Per un claustrofobico sarebbe stato un inferno. Eppure, è piena di luce, sia delle candele che del Sole. Pareti affrescate in toni caldi, rassicuranti. Un ambiente tutto concentrato ad esaltare la bellezza della vita, la gioia e l’umanità.
Ad accoglierci è uno scenario di apparente allegria, in sintonia con il luogo. Canti e balli per lodare il Signore. Inni potenti, che sembrano partire dalle viscere di chi li canta. C'è chi alza le mani al cielo, chi sorride beato, chi disperato ha la testa tra le mani, chi abbraccia il vicino.
Ma soprattutto, c'è chi piange. Ce ne sono di tutti i tipi: dalla semplice commozione, per poi passare a qualche lacrimuccia e per finire il pianto disperato e struggente. C’è chi rimane seduto, chiuso. Solo davanti a Dio, in un viaggio spirituale tra i più intensi. Qualcuno rimane immobile, muto. In pura contemplazione, con gli occhi sbarrati.
Piano piano, entriamo anche noi a far parte di questo caos. Cambia il nostro punto di vista, ci guardiamo meglio intorno.
In quel luogo, il tempo si ferma. Come se si entrasse in un’altra dimensione. Si sta stretti, certo, ma nessuno si sente davvero soffocare. Chi va lì, lascia a casa il corpo. Il contatto ravvicinato ti fa perdere i sensi di percezione. Dimentichi i contorni della tua persona. Sei tutt’uno con chi hai intorno. Un unico spirito che canta, balla, piange, respira, ma con migliaia di volti diversi.
Una cosa colpisce più di tutte. Migliaia di facce, di vite mai incontratesi, e che eppure sembrano improvvisamente conoscersi. Lì, si respira pura empatia. Per certi versi, non ha nulla a che fare con il divino, ma va quasi oltre, se possibile. C’è amore, c’è compassione. Sentimenti disinteressati e intensi.
Ma perché tanto caos? Perché tanto sgomento misto a gioia?
Coinvolgimento emotivo. Ognuno messo a nudo con i propri fantasmi. Proviamo ad indagare una volta finita la cerimonia. Prima, sembravano tutti molto disposti a parlare, a dare informazioni. Ma dopo un’esperienza del genere, qualcosa è cambiato in loro.
«Il pianto è liberazione. Queste sono messe di lode a Gesù ma anche di guarigione. Guarigione fisica e spirituale. Io in primis sono una testimonianza di guarigione. Ringrazio Don Michele per aver dato a tutti noi cristiani questa grande opportunità», ci racconta una donna sulla cinquantina. «Non a caso, dopo la messa, la statua del Santissimo fa il giro del paese. E' un gesto che ricorda il momento in cui, nel Nuovo Testamento, Gesù è tra la folla e una signora gli tocca il mantello per essere guarita. Grande significato per me, come per tutti noi. Io, in quella donna, mi ci rivedo completamente».
Altri, invece, appena usciti dal santuario, sono smarriti. Il loro distaccarsi da quello che accade intorno è evidente. La loro mente appare assente. Non hanno voglia di parlare. Solo di pensare, come ci dice una signora: «Scusami ma in questo momento non posso spiegarti nulla. O meglio, non ci riesco. E' un'emozione troppo forte per me. Adesso, è come se fossi lì sopra con Lui. Scusa, davvero».
Comprensibile. Salta all’occhio un particolare. Tra le mani, stringe la foto di un morto. Un uomo giovane. Sarà stato un suo familiare, probabilmente. Ora è tutto chiaro. Questa signora, con le preghiere della celebrazione, avrà immaginato di essere lassù con lui. Ecco la giustificazione del suo turbamento. Incredibile. In quegli istanti, mentre parlava con noi, era in tutta un’altra dimensione. Pelle d'oca.
E questo non è nulla. Nulla in confronto alla scena straziante che ci si presenta in seguito. Un signore anziano, sulla sessantina, si dimena agitato e sale e scende imperterrito sulle scale della chiesa. Piange, lacrime a dirotto. Niente e nessuno è in grado di fermarlo. «Gesù, Gesù... liberami», le uniche parole pronunciate. Si aggrappa alle gambe dei passanti in cerca di chissà cosa. Ma del resto, nel contesto, quella è normalità.
Mariagrazia Mancuso e Anita Vena*
(studentesse del Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola lavoro)