di Luciano Trapanese

Lo avreste mai detto? La Chiesa ha idee più chiare della politica sul futuro dei giovani meridionali e sulla strada da percorrere per creare occupazione. E' proprio così, e non è un buon segnale. Nè per la politica e neppure per i giovani del Sud.

L'assemblea dei vescovi ha segnato il distacco netto tra due visioni. Eppure i prelati dovrebbero “per statuto” essere più sensibili a questioni – come dire - spirituali.

Pragmatismo, realismo e soluzioni dei problemi sarebbero invece (ma è così?), prerogativa delle istituzioni che ci governano.

Vi sintetizziamo le due proposte.

La prima. Quella politica, avanzata dal governatore De Luca: «L’assunzione di 200 mila giovani con uno stipendio iniziale di 900 euro da impiegare nella pubblica amministrazione, dove l’età media è alta. Personale da stabilizzare successivamente, ma così si potrebbe offrire nell’immediato non solo una speranza di rinnova- mento concreto della pubblica amministrazione, ma anche un’opportunità di lavoro e di vita per tanti giovani diplomati e laureati che ora sono costretti a spostarsi altrove».

Vi sembra praticabile? Pone le premesse per un rilancio del Sud o al contrario alimenta il mercato delle promesse e delle clientele senza dare una reale svolta al mercato del lavoro?

Leggete quello che scrivono invece i vescovi: «Bisogna sgomberare il campo dalle logiche del clientelismo, della lentezza, della burocrazia, dalla invadenza della malavita organizzata, ma è necessario soprattutto fare spazio alle nuove frontiere del lavoro, sviluppando modelli organizzativi in linea con l’evoluzione della società e della tecnologia. Per questo rivolgiamo alle istituzioni un caloroso e pressante appello a intervenire con urgenza e concretezza, mediante politiche appropriate. Oggi più che domani. Perché domani forse è troppo tardi».

Dov'è il buon senso? Dov'è una lettura del presente più chiara? E quel riferimento «all'evoluzione della società e della tecnologia», che è il punto dal quale partire (normale, direte), ma che la politica sembra quasi ignorare.

Il cardinale Sepe è sceso anche sul concreto, e tanto per dare il là alle iniziative ha proposto subito: «Realizziamo coop che mettano insieme restauratori, guide culturali, ma anche per la valorizzazione di fondi agricoli».

Non servono finanziamenti a pioggia, assunzioni di massa negli enti pubblici. Lo dimostra tra l'altro la Caritas di Benevento che, con il microcredito e 400mila euro donati da un privato, sta finanziando decine di giovani imprenditori.

La proposta di De Luca è stata comunque bocciata dallo stesso governo, e in particolare dal ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti: «Dobbiamo rimettere in marcia l’economia del Sud, all’interno di questo percorso affronteremo il tema della ripresa del turn over nella pubblica amministrazione. Ma non si può pensare di creare posti nel settore pubblico se l’economia non riparte, perché non saranno posti per necessità. Serve lavoro produttivo. In questo la mia posizione si distingue da quella proposta dal presidente della Regione nel suo piano per il lavoro».

Lavoro produttivo, appunto. Non altro assistenzialismo (e non solo per evitare di farci sbertucciare dai settentrionali). Altrimenti si fa prima a promuove il reddito universale (come ha fatto Hamon, candidato socialista alle presidenziali francesi), e lasciare i ragazzi meridionali (e di tutto il Paese), liberi di avviare iniziative imprenditoriali senza l'assillo della sopravvivenza.

Ma sostenere – e De Luca lo fa con insistenza – che la strada per far tornare il Sud in corsa passi inevitabilmente da una assunzione di massa nelle pubbliche amministrazioni, ci riporta indietro di diversi decenni. E se non ha funzionato allora, figurarsi ora.

Basta alzare lo sguardo per capire come il mondo sia cambiato e continua a cambiare. Ma qualcuno – purtroppo chi ha più responsabilità – continua a non rendersene conto. E in questo il governatore De Luca non è solo. Anzi.