di Luciano Trapanese
Si fa presto a dire razzisti. A definire trogloditi, fascisti, xenofobi, egoisti i residenti di quelle zone (pensiamo a corso Umberto ad Avellino, ma non solo), che dicono “no” all'arrivo di un centinaio di migranti.
Così come si fa presto a definire, con sprezzo, radical chic, buonisti, utili idioti, quelli che ritengono un obbligo accogliere chi fugge da guerre o miseria.
E' una spaccatura verticale, una contrapposizione che annulla ogni dialogo. E che – soprattutto – impedisce un qualsiasi ragionamento logico, possibile, non scontato, su quello che sta accadendo: una migrazione epocale con la quale bisogna fare i conti.
E non servono gli slogan («prima gli italiani»), o gli insulti («fascisti»). Così come non ha aiutato – qualche mese fa -, l'uscita del sindaco di Avellino, Paolo Foti («Questa città è razzista»), l'appello populista di Mastella a Benevento. E neppure l'ottimismo di De Magistris («Noi siamo e saremo sempre accoglienti»).
Sarebbe opportuno partire da un presupposto: sulla questione non ci sono né scorciatoie, né soluzioni semplici.
Chiaro che tutto si complica con i timori suscitati dal terrorismo, la crescente diffidenza nei confronti dei musulmani, e una crisi economica che si aggrava ogni giorno.
E' un intrico complesso, se preferite “una tempesta perfetta”. Tutto insieme, tutto ora. Con il risultato che si riducono in cenere certezze che ci hanno accompagnato da sempre (almeno dal dopoguerra).
Il caso Avellino è emblematico. La città si è spaccata in due sulla questione dei migranti nel convento delle suore Stimmatine. Il punto è che lo scontro, quando diventa radicale, viaggia sull'insulto. Sulla rabbia.
Argomentare non è mai stato così difficile. Per molti la definizione “questione complessa” equivale a una resa, a un voler eludere il problema. Come se le uniche soluzioni possibili fossero: non li vogliamo o accogliamoli tutti. Semplice semplice. Perché attardarsi a ragionare, e cercare una via d'uscita?
Sappiamo tutti che il vero problema è l'attuale gestione dell'accoglienza. Arrivano i migranti e li sistemiamo un po' ovunque. Lasciando anche aperte le strade del sospetto su chi con questa emergenza ci sta lucrando alla grande.
La verità è che stiamo lentamente caricando una bomba che rischia di esploderci in mano. Fra un anno o due, quando questa massa di migranti lascerà i centri, dove è stato fatto ben poco per integrarli, dove neppure ci siamo preoccupati di insegnargli la nostra lingua, beh, allora, quando vagheranno per le strade delle nostre città, senza tutele, senza presente e senza futuro, cosa accadrà?
E' questa inazione, questa incomprensibile incapacità di leggere l'ovvio, che dovrebbe spaventarci. Tutti. Migranti compresi, naturalmente.
E allora? Quale può essere la soluzione?
Per la gestione complessiva delle ondate migratorie ci sembra chiaro che l'Italia da sola non può fare molto. Ma che serve una politica coordinata, lungimirante, concreta da parte dell'Unione europea. Certo, più facile a dirsi che a farsi. Ma, nella situazione attuale, o Bruxelles è capace di dare risposte o il sogno europeo è destinato a fallire per sempre. Ad alimentare i nazionalismi c'è la crisi economica, senza dubbio, ma il vero collante è l'immigrazione e i sentimenti che suscita.
Non siamo sicuri che il ritorno al passato sia la soluzione. Gli staterelli del continente (forse esclusa la Germania), diventerebbero irrilevanti nel panorama mondiale. Irrilevanti e naturalmente incapaci di dare risposte alla migrazione di massa. L'Italia soprattutto, per deficienze strutturali e per la sua posizione geografica.
Quello che si può fare ora è agire sulle politiche di accoglienza. A funzionare sono solo gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), centri gestiti da associazioni come la Caritas in collaborazione con i comuni. Le buone pratiche sono lì. E consentono una armonizzazione tra la presenza dei migranti e gli italiani, garantiscono formazione e integrazione, tengono lontano gli speculatori e di fatto riducono anche diffidenze, paure, scontri.
Chiaro che gli Sprar possono aiutare a governare l'oggi. Ma è impensabile gestire queste ondate migratorie senza la necessaria collaborazione dell'Europa, una efficace politica nazionale e il contributo degli enti locali (a partire dalle Regioni).
Tutto questo non è semplice. Ma almeno è una risposta. Continuare a insultarsi, a dividersi, a intonare slogan e proporre soluzioni inapplicabili, non porta da nessuna parte. Serve solo a surriscaldare un clima già rovente. Francamente non ne abbiamo bisogno.