di Luciano Trapanese

Un mondo spaccato. Tre diverse visioni di futuro, con le ideologie novecentesche che annaspano nel mare torbido di una modernità in continuo divenire. Schiacciato tra il fallimento della globalizzazione (e la conseguente crisi economica), l'imponente ondata migratoria, l'automazione che distrugge posti di lavoro, un crescente dislivello dei redditi e le incertezze che riducono a zero le speranze di milioni di giovani, e non solo.

Tre – appunto – le risposte possibili.

Il ritorno a un nazionalismo spinto, generato da una globalizzazione che ha massacrato le classi medie. Ha come alfieri mondiali Trump e Putin. Gli esponenti di due superpotenze.

La riproposizioni del modello attuale con qualche correttivo capace di rigenerare il tessuto economico di un Occidente in ginocchio. Che è al momento la risposta meno popolare, anche perché figlia di quello stesso sistema che in parte ha provocato l'attuale crack.

E infine una risposta decisamente di sinistra. Opposta al nazionalismo, che da Sanders (negli Usa), ad Hamon (il candidato del Psi – partito ormai allo sfascio - alle presidenziali francesi), passando per Podemos e i nuovi leader laburisti inglesi, propone un modello europeista, ma di completa rottura con il liberismo di questi decenni, in una visione che è la declinazione moderna di concetti vicini alle origini del socialismo.

Tre risposte più o meno chiare, più o meno credibili (dipende dai punti di vista), e sulle quali si gioca il futuro del pianeta.

E in Italia? Come al solito il quadro è ancora più complesso.

I nazionalisti tout court sono rappresentati da Lega Nord e Fratelli d'Italia. Troppo deboli – da soli – per puntare a una vittoria elettorale (come invece potrebbe accadere fra tre mesi con la Le Pen in Francia).

E il Movimento 5Stelle? Ha punti in comune con la destra nazionalista (euroscetticismo, no alla moneta unica, critica feroce al liberismo, sull'immigrazione invece non c'è ancora una linea riconoscibile). Ma anche proposte che rientrano di diritto nella visione “socialista” del futuro: reddito di cittadinanza (Hamon propone il reddito universale), decrescita felice (il candidato francese è convinto che non si tornerà mai ai livelli pre crisi), democrazia diretta.

Una posizione, quella dei 5Stelle, che differenzia la situazione italiana da quella di altri Paesi europei. Anche perché il Movimento ha occupato gli spazi anti establishment che altrove – come in Germania, Francia, Danimarca, Austria - sono stati conquistati da partiti nazionalisti (una dinamica simile a quella di Podemos in Spagna o Syriza in Grecia, che ha frenato la crescita impetuosa dell'estrema destra di Alba Dorata).

Chi continua a sostenere il modello attuale (anche con accenti critici), sono soprattutto i partiti “tradizionali”: buona parte del Pd (Renzi in particolare), i centristi, molti esponenti di Forza Italia. Del resto sarebbero poco credibili come feroci contestatori dell'Europa e del liberismo (ne sono stati gli alfieri), ma puntano a modificare l'attuale gestione dell'Ue, anche sotto la spinta dei nazionalismi (e per evitarne l'ascesa). Impresa non semplice.

In Italia manca quasi del tutto una forte, coraggiosa e innovativa strada a sinistra. Difficile immaginare possa essere affidata a D'Alema o Bersani. Non sembra raccogliere entusiastiche adesioni neppure il progetto dell'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Il movimento di De Magistris è solo in embrione, si muove in quell'area, ma è difficile immaginare una sua crescita impetuosa e credibile (stile appunto Hamon, fino a qualche mese fa quasi sconosciuto).

Anche in questo caso – proprio come per i nazionalisti -, è la presenza del Movimento 5Stelle – volutamente trasversale - a occupare buona parte degli spazi.

A complicare il quadro italiano anche la legge elettorale. Si va verso il proporzionale e una frastagliata rappresentanza parlamentare, che comporterà forzate alleanze di governo, alimentando scelte politiche difficili e inevitabilmente contraddittorie.

Se si aggiunge la possibilità – mai così realistica – di una possibile scissione nel Pd, tra l'ala renziana e quella che fa riferimento a Bersani e D'Alema, appare chiaro che il rischio di trovarsi di fronte al caos più completo è davvero notevole.

Tutto accade nel momento storico peggiore. Naturalmente.

Con tre punti nodali che minano qualsiasi certezza sul nostro prossimo futuro.

La questione immigrazione: potrebbe essere gestita solo da un'Europa capace di produrre una strategia comune, dettata da scelte logiche e di prospettiva e non da una serie di inutili e deleteri pannicelli caldi, che alimentano incertezze e la crescita dei nazionalismi.

L'automazione, che nei prossimi anni costerà – nella sola Italia – altri milioni di posti di lavoro. Aumentando la crisi della classe media con il rischio di innescare una serie di reazioni a catena. Prima fra tutte: la frantumazione dell'idea europeista. Devastata da un disagio sociale sempre più intollerabile.

Il governo di una globalizzazione che nella sua reale applicazione ha solo favorito l'esplosione di un capitalismo senza regole, e fomentato l'aumento esponenziale della disparità sociale. Oltre a mettere definitivamente in crisi diritti che sembravano acquisiti.

E' la parziale e telegrafica fotografia di questo periodo. Con una tensione sociale in costante aumento, così come la contrapposizione di visioni diametralmente opposte del futuro.

Difficile immaginare cosa accadrà. O forse no. Purtroppo.