di Alessia Dello Iacono*
«La mia vita era bellissima.» Erica inizia così la sua storia. «Ero una ragazza dinamica, mi piaceva fare di tutto.» Non nasconde la sua delusione. E neppure la disperazione per tutto quello che ha passato.
Lei è una studentessa di Scienze Politiche alla Sapienza di Roma. Ha 24 anni e vive in un quartiere tranquillo con i suoi due gatti e la tartaruga di terra. Si considera indipendente, determinata. Una ragazza intraprendente che ha lasciato casa dei genitori in un paesino vicino Caserta per studiare nella capitale.
Ma non era certo questo il suo sogno. A 7 anni, la mamma la iscrisse a una scuola di danza. Danza classica.
«Mamma Sandra era fiera di me. Le si illuminavano gli occhi quando vedeva un mio pliè e rélevé - dice Erica -. In salotto ha appeso tutte le foto dei miei saggi.»
Ricordi indimenticabili per lei. La soddisfaceva vedere felice sua madre. Ma riempiva di orgoglio anche sé stessa. Vinceva molte gare e si emozionava quando scattava l’applauso dal pubblico.
Ha ballato fino a 18 anni.
«Ero così tanto innamorata della mia passione che a volte quando andavo al supermercato ballavo dietro gli scaffali.»
Inizia a ridere Erica.
«Sembravo una matta ma non mi importava perché era quello che amavo fare.»
La scuola la trascurava parecchio. Studiava il minimo indispensabile. Non gliene fregava. Ma a suo padre sì.
«Papà Massimo è carabiniere e per lui l’istruzione è sempre stato tutto sia per me che per i miei fratelli.» Ammette Erica.
«Per lui sono sempre stata la pecora nera che non apriva un libro.» Non ha mai capito il suo amore per il ballo. Mai.
Una passione sempre oggetto di discussione. Le litigate sono state tante.
«Quando un anno gli portai la mia pagella con delle insufficienze, voleva buttare via le mie scarpe a punta e il tutù.»
«Io piangevo disperata ma lui mi considerava una fallita.» La madre cercava di difenderla. Inutilmente. Anche per questo, con lui non ha mai avuto un bel rapporto. Aveva un carattere troppo autoritario. Un carattere non compatibile al suo.
Erica ero uno spirito libero. Lo riconosceva anche il fidanzato di allora che la seguiva a ogni gara.
«Si chiamava Giorgio ed è stato il mio primo amore.» Racconta con un filo di amarezza.
«Diceva che avevo un corpo perfetto e mi consigliò di andare a studiare all’Accademia di Danza a Milano dove lui lavorava come cameriere.»
Tanti progetti. Tante aspettative. Tutto sembrava andare a gonfie vele. Non le mancava nulla. Ma niente dura per sempre.
Se Erica aveva la passione per il ballo, Giorgio amava le moto. La sera dell’11 giugno 2010, la coppia si dirigeva a un bar del paese come sempre. Ma c’era un dettaglio che non avevano preso in considerazione. Diluviava. Il ragazzo, con eccessiva sicurezza, correva troppo.
«Erano circa le undici e mezza e ricordo che poco prima avevo litigato con papà perché non voleva che uscissi.»
«Come sempre non gli ho dato retta e alla prima curva siamo andati a finire giù, nel burrone.»
Fine. E’ qui che, come dice Erica, si è conclusa la sua prima vita. Una vita piena e soddisfacente. Non tornerà mai più a essere una ballerina.
Si sveglia il mattino dopo all’Ospedale Civile di Caserta. Non ricorda nulla. Ma lì c’è la mamma a spiegargli l’accaduto. Erica piange e chiede notizie del ragazzo. Era vivo con qualche punto alla testa. Nulla di grave. Sollievo per lei.
Ma quando prova a muoversi dal letto, non sente le gambe. Panico. «Iniziai a dimenarmi perché avevo capito subito che avevo perso la sensibilità agli arti inferiori e non lo accettavo.» Confessa lei. «Quella mattina io e mamma Sandra ci asciugammo le lacrime a vicenda per ore.»
Tutto era andato in fumo. Non sarebbe mai diventata la prima ballerina alla Scala di Milano. Il suo destino adesso era un altro: la sedia a rotelle. Quella maledetta sedia che non riusciva neanche a guardare i primi tempi perché gli impediva di essere la ragazza di sempre. Come se non bastasse, Giorgio non le rivolse più la parola. Non volle più sapere niente di lei. Un dolore raddoppiato.
E’ qui che incomincia la seconda vita di Erica. Si rese conto di non poter più fare le attività di prima. Così cercò qualcosa in cui credere. Qualcosa che la motivasse. Così scoprì un secondo amore. La cucina. Grazie ai programmi di Antonella Clerici, tutte le mattine si cimentava e preparava dolci.
«Ballavo meglio di come cucino, ma ho capito che l’importante è che mi faccia sentire viva.» Ammette con un sorriso.
Il padre cercò di avvicinarsi di nuovo a lei e da quell’incidente si pentì tantissimo di averla trascurata per tutto quel tempo. Di averla considerata inferiore ai suoi fratelli. Il cuore le si riempì di gioia. Finalmente papà Massimo le voleva bene per quello che era.
«Sembra strano ma è proprio adesso che vivo con tre animali da sola su una sedia a rotelle che mi rendo conto del valore della vita. E’ con la mia seconda vita che apprezzo anche le piccole cose.»
*Studentessa del Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola lavoro