di Mariagrazia Mancuso

Causa più morti della droga. Eppure, nessuno ne parla. Forse perché fa comodo? Probabile. Anzi, è sicuro.

La ludopatia è uno degli incassi maggiori dello Stato. Basti pensare che in Italia ci sono più slot machine che posti letto in ospedale. Incredibile. O meglio, surreale. Il gioco d'azzardo patologico colpisce un milione e mezzo di italiani.

Situazione seria, dunque.

E' una patologia mentale, ma c'è chi la definisce ossessione. E chi, addirittura, depressione allo stato puro.

Come capirlo? Beh, ascoltando le testimonianze di chi della ludopatia sa più di Google: i ludopatici.

Molti i forum al riguardo. Tanti i racconti, le testimonianze. Forum che hanno lo stesso suono degli alcolisti anonimi. Almeno è quella la prima impressione.

«All’età di 24 anni andai per la prima volta in un casinò e fui folgorato dai tavoli verdi. Da lì il mio calvario con le macchinette. Il primo gettone lo vivi come una sfida alla fortuna. Ma poi... Poi, di tutti gli altri nemmeno te ne accorgi. E' un vortice pronto a risucchiarti. Ma prima di ammettere con me stesso la gravità del problema, ho evitato per anni le situazioni che potevano farmi scoprire. Finiti i risparmi, cominciai a indebitarmi con amici e parenti. Era come se fossi sceso nel primo girone dell'inferno. Eppure, vincere a quelle dannate slot mi faceva sentire un vincente. Vincente almeno in un campo della mia vita. Già, la dipendenza era causata dalla mia insoddisfazione in campo lavorativo. Non accettavo critiche, ero troppo esigente con me stesso», racconta Luigi, 52 anni.

«Mi chiamo Claudio e ho passato ormai la cinquantina. Tempo fa mi ammalai di ludopatia. Tutto ebbe inizio un pomeriggio d'inverno. Andai in un supermercato a fare la spesa per la cena. Nel reparto salumi, incontrai la mia amante. La nostra storia si fece sempre più importante tanto da innamorarmi seriamente. Decisi così di chiedere il divorzio da mia moglie. Certo, mi aspettavo che non la prendesse bene. Ma non pensavo sarebbe arrivata a minacciarmi. Mi disse che non avrei più rivisto le mie tre bambine. Mi sentivo impotente. Con le mani legate. Fu così che cercai conforto nel gioco d'azzardo - continua -. Per il bene della mia famiglia, lasciai la mia amante. Ma il bene lo feci a tutti. Tutti, eccetto me. Divenni un giocatore compulsivo. Tutte le sere mi recavo nel bar del mio paese . Restavo davanti alle macchinette per ore e ore. Fino a spendere tutto. Per fortuna, con l'aiuto di alcune associazioni e un avvocato troncai sia con il gioco d'azzardo che con mia moglie», afferma.

«Mi chiamo Anna e sono stata schiava dei "gratta e vinci". Da ragazza, la mia carriera da ginnasta è stata interrotta da un infortunio. Infortunio che mi portò alla depressione. Depressione che portò a sperperare tutto il mio denaro in schedine. Arrivai ad avere debiti in banca. Non ero più la stessa Giovanna di un tempo. Ero diventata un mostro. Tutti quei soldi spesi mi servivano per l'iscrizione all'università. Quando mio padre mi chiese quale facoltà volessi frequentare, io scoppiai a piangere. Così venni scoperta - dice -. Si sa, da buon genitore, papà fece di tutto per tirarmi fuori da quell'incubo. E ci riuscì. Mi mise in contatto con uno psicologo e mi iscrisse all'università. Oggi sono guarita. E anche laureata».

In questi gruppi, molte anche le mogli che raccontano dei propri mariti. Alcuni sembrano essere appelli disperati. Altre, semplici testimonianze.

«Prima i soldi, poi tutto l'oro che avevamo. Poi la macchina, fino a perdere la casa. E' così che ho lasciato mio marito - racconta Elena -. Un matrimonio perfetto, all'apparenza. Perfetto fino quando mio marito cominciò col poker. In bar e casinò. Di certo, lasciarlo è stata la scelta migliore che potessi fare. Tuttavia, non l'ho abbandonato. Al momento l'ho affidato a un centro di cura».

Dal poker nei casinò al poker online. Ebbene si, signore e signori, per chi vuole diventare un giocatore patologico non c'è più bisogno di scomodarsi dal proprio letto. Basta un click e internet ti suggerisce vari siti dove giocare. Facile.

«Ho scoperto il gioco d'azzardo, navigando su internet. Casualmente, mi ritrovai su un sito e non ne uscii più. Ero h24 al computer. Non solo spesi tutto il mio denaro ma anche la mia connessione internet. Mi trovavo in un periodo di crisi familiare. Senza rendermene conto, io fui la goccia che fece traboccare il vaso. I miei parenti mi abbandonarono. Solo allora mi resi conto della gravità della questione. Da orgoglioso che ero e che sono, volevo dimostrare loro di poter guarire. Il mio orgoglio e la forza di volontà mi portarono a vincere la ludopatia. Sono fiero di me», racconta Roberto, 43 anni.

Purtroppo, di ludopatia si muore anche. Il dramma di chi ha perso tutto sfocia spesso in suicidi volontari. «Mio padre aveva 46 anni quando si è impiccato. Dopodiché, l'amara scoperta: aveva speso tutti i soldi conservati in banca. Tutto per quella forza distruttrice chiamata ludopatia. Tutto per quelle slot machine. Prima di andare a morire, scrisse un biglietto e lo lasciò sul mio comodino. Al mio risveglio, lo lessi. "Ammetto, ho umiliato la mia famiglia. Spero un giorno mi perdonerete. Baci, il tuo papà". Ma io sono del parere che i problemi debbano essere affrontati e superati. E non così. Oggi, l'assenza di mio padre è il vuoto più forte che io possa avvertire», racconta Clara.

Insomma, il gioco d'azzardo patologico non causa drammi individuali. Bensì collettivi. Non a caso, a subirne le conseguenze non è solo il ludopatico. Ma anche chi gli sta intorno.

(studentessa del Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo multimediale organizzato nell'ambito dell'iniziativa scuola lavoro)