di Luciano Trapanese

Ma cosa ci aspettiamo dal 2017? Forse niente, e questo è già un vantaggio. L’anno che si è chiuso doveva essere quello della ripartenza. Almeno secondo la narrazione renziana. Non è stato così, anzi. In dodici mesi si sono frantumate anche residue certezze. Le strade intraprese sono diventate vicoli stretti. La crescita è rimasta un’aspirazione. Il lavoro anche. E’ ripartita l’emigrazione. L’immigrazione ha continuato a suscitare allarme sociale. Il terrorismo non si è fermato (neppure la notte di Capodanno). La crisi è sempre lì. La globalizzazione ha mostrato il suo lato fallimentare. Cresce solo la diffidenza, la paura, il disagio. De Luca non ha invertito il verso alla Campania. De Magistris pensa già al suo futuro nazionale. Avellino non è amministrata. Benevento è in pieno dissesto. Caserta arranca. A Salerno non tutto luccica.

Il quadro è nero. Ma non possiamo restare fermi a contemplare il buio. E’ tempo di andare oltre le attese. La soluzione non arriverà dalla politica, dai partiti, dalle istituzioni. E’ triste ammetterlo, ma è così.

Siamo tutti in mare aperto. Di fronte a noi una infinità di direzioni e di possibilità. Non tutte portano sulla terra ferma. Ma bisogna avere il coraggio di provare a navigare. Con la forza delle idee e la capacità di realizzarle. Restare immobili sperando che il peggio passi serve a zero. Siamo solo noi, e la nostra capacità di adeguarci a questi tempi, a poter cambiare le cose. Con coraggio, determinazione, creatività.

Non sono geneticamente ottimista, anzi. Eppure mi sembra evidente che si stia percorrendo una difficile – anche drammatica – fase di passaggio. C’era un mondo che ci ha regalato decenni di pace prospera e la convinzione di un futuro sempre migliore. Un’eredità di speranze e fiducia da regalare ai nostri figli, proprio come avevano fatto i nostri genitori. Quel mondo non c’è più. E per tanti motivi (inutile elencarli). Evaporato. Dissolto nella storia. Sono cicli, siamo capitati in quello sbagliato. Ma ogni crollo ha una rinascita. Su basi diverse. Poco sarà come prima, e non è detto che sia un male.

E’ tempo di un patto generazionale. Chi ha esperienza e competenze deve avere l’umiltà di ammettere che senza il supporto fondamentale dei giovani non si va da nessuna parte. Loro sono i primi figli di questo mondo nuovo, che nasce sulle ceneri di quello che si sta dissolvendo. Continuare a escludere, umiliare, lasciare ai margini energie fresche e innovative, ci costringe a brancolare tra queste macerie. Spegnere sul nascere l’entusiasmo, le ambizioni, i sogni che battono forte nel petto dei nostri ragazzi non è solo una colpa. E’ peggio.

Voglio raccontarvi una nostra piccola esperienza. Piccola, ma significativa. Il Vivaio di Ottopagine, il corso di giornalismo per ragazzi tra i sedici e i diciotto anni.

C’è stato chi, dopo aver pronunciato il consueto «è una bella iniziativa», ha aggiunto: «Ma questi non hanno voglia di far niente, sanno solo stare ore intere con quei telefonini in mano…»

Si sbagliano. Lo sapevamo. Ora possiamo aggiungere: si sbagliano in modo drammatico.

Pochi mesi di esperienza con questi ragazzi, mi hanno convinto – se ce n’era bisogno – che solo loro hanno la forza, l’energia, l’entusiasmo per cambiare il Paese. Non possono farlo da soli. E soprattutto, non possono farlo se si continua a non credere in loro.

Vi voglio far leggere quello che ha scritto una delle ragazze del corso a proposito della nostra iniziativa: «Ci sentiamo importanti, le nostre idee vengono ascoltate e valutate. Siamo trattati come Persone, che collaborando riescono a combinare qualcosa di buono, un vero e proprio lavoro. Non ci sentiamo più studenti, scatole da riempire e che devono sottostare a ogni regola, senza libertà di espressione. Credo che grazie a questo progetto, molti di noi (io per prima) abbiano acquistato sicurezza in se stessi, pensando "Ah, allora anch'io sono bravo in qualcosa!". È come se aveste 'fertilizzato' le nostre menti. Nascono nuove idee, progetti, speranze per il futuro».

Inutile dire che questo messaggio mi ha emozionato. Ma in quell’«avete fertilizzato le nostre menti», c’è tutto. Lo stiamo facendo nel giornalismo, regalando loro tutto quello che sappiamo (e ricevendo più di quello che doniamo). Siamo certi che daranno nuovo impulso e nuovo significato al nostro mestiere. E siamo altrettanto sicuri che questo sia vero – assolutamente vero – in ogni campo, in ogni settore. Basta dare fiducia e strumenti. E avere anche l’umiltà di ascoltare. Fatelo per voi, per i ragazzi. E soprattutto per il futuro di questo Paese.

Buon anno a tutti.