di Andrea Fantucchio
Don Vitaliano solleva il velo. Eccolo lì il suo Gesù Bambino: la testa staccata dal collo. Braccia e gambe di gesso sparpagliate. Il busto inerte. Tutti i pezzi gettati su uno sfondo di cartone nero. Il protagonista del Presepe di Capocastello fa la sua apparizione. (Clicca sulla foto di copertina e guarda il video di Ottochannel. Servizio di Angelo Giuliani. Riprese e montaggio di Matteo Piscopo).
Farà discutere. Questo è certo. Forse anche più del bambino in gommone dello scorso anno. Quando si parlava di integrazione.
Mentre il mondo si scagliava contro i “negri cattivi”. Don Vitaliano i profughi li faceva trovare lì. Nel presepe. In quella mangiatoia rassicurante. Fra Gesù e Maria. Per mostrare cosa fosse il vero spirito di una comunità. Il vero insegnamento di Dio.
Per far comprendere che quei ragazzi erano vittima di un sistema che speculava sulla loro pelle. Un sistema fatto di cooperative e politici che prendevano i soldi per ospitarli. Un sistema che poi li abbandonavano a sé stessi. Accrescendo la diffidenza delle comunità che li accoglieva.
Oggi è il Gesù Bambino che si spacca. Va in pezzi. Un bambinello non convenzionale.
Spiega Vitaliano sorridente: «E' il mondo che si sbaglia. O meglio si accomoda. Preferisce riproporre sempre lo stesso Presepe. Quello di San Francesco. Senza ricordare che proprio il patrono d'Italia lo aveva creato pensando ai personaggi del suo tempo. Però quei protagonisti non bastano più. Il presepe deve evolversi. Parlare di quello che è il mondo oggi. E quindi quest'anno Gesù Bambino lo immagino così: a pezzi».
Il parroco ha una t-shirt nera. Un volto solare e vitale. I suoi occhi ci salutano per primi. Quando ci accoglie nella chiesetta di San Pietro e Paolo un bel sole fa capolino dalle finestre in alto. E ci regala un suggestivo scorcio di arte e storia. A destra vicino alle candele delle offerte c'è una miniatura del presepe tradizionale. Proprio ora Vitaliano sta mettendo il bue e l'asinello.
Poi lo vediamo. In basso sotto l'altare. Ecco il Gesù Bambino in frantumi.
A pezzi come i corpi dei bambini di Aleppo dilaniati dalle esplosioni. A pezzi come Berlino scossa dall'ultimo attentato terroristico. A pezzi come tante famiglie che devono fare i conti con una povertà dilagante.
Con le difficoltà quotidiane di vivere in un'epoca difficile. Dove le certezze che avevano rassicurato i genitori sono minate. Manca il lavoro, una politica in grado di tenere la barra dritta, persino la solidarietà e il senso di famiglia. Manca la speranza nel futuro.
Ma Vitaliano non si abbatte: «La situazione peggiore è dentro di noi. E' il nostro spirito a essere a pezzi. A sentirsi smarrito. Ma il mio non è un presepe del pessimismo. Della sconfitta passiva. Desidero che si prenda coscienza della situazione attuale per poi reagire. Il confronto è positivo quando ci invita a fare qualcosa. A ricucire le nostre famiglie, i nostri quartieri e poi, con l'aiuto del Buon Dio, anche il mondo. Io me lo auguro e lo auguro a tutti».
Il "prete diverso" continua la sua battaglia iniziata anni fa. Una battaglia di dialogo, a volte stridente. Di impegno quotidiano. Contro i preconcetti, le ingiustizie sociali, le divisioni legate a razza e sesso. Lo hanno chiamato il prete no global, il parroco ribelle. Don Vitaliano è semplicemente un pastore con la “P” maiuscola.
Uno di quelli che si tiene tutte le sue pecore. Anche quelle che sembrano irrimediabilmente smarrite.
E' il prete di tutti. Lo capisci quando andiamo al bar per il caffè. Mentre qualcuno gioca a carte, c'è chi si avvicina. Gli stringono la mano. Lo salutano. Lo acclamano quasi. Sorrisi. Lui offre per tutti. I due “Mario” in prima fila per abbracciarlo. Mentre ce ne andiamo pensiamo al suo presepe. A come la prenderanno i fedeli di Capocastello quando lo vedranno.
Don Vitaliano si preoccupava un po' dei bambini. Di che faccia avrebbero fatto di fronte a quel piccolo Gesù in pezzi. Noi siamo convinti che capiranno. Prima di tutti. I bambini ci riescono sempre. Anche se pochi se ne accorgono. E' questo il vero peccato.