Caposele

Le montagne calcaree dell’Appennino, sede di importanti riserve d’acqua per città come Roma, Napoli e Bari, si deformano in funzione della quantità di pioggia ricevuta.

È quanto emerso dallo studio “Transient deformation of karst aquifers due to seasonal and multiyear groundwater variations observed by GPS in southern Apennines”, pubblicato recentemente sulla celebre rivista scientifica americana “Journal of Geophysical Research”.

Alla realizzazione dell’interessante lavoro ha collaborato, insieme al Centro Nazionale Terremoti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, alle Università del Sannio e di Lione, anche l’Acquedotto Pugliese.

Per la ricerca sono state utilizzate misure di spostamento registrate dalle stazioni Gps della rete Ingv ring, variazioni di gravità misurate dal satellite grace, serie pluviometriche e misure di portata della sorgente carsica di Caposele in provincia di Avellino.  

“All’inizio non si capiva l’origine dei segnali osservati sulle serie temporali delle stazioni GPS”, spiega Francesca Silverii, giovane ricercatrice dell’Università di Bologna, che ha conseguito il dottorato presso l'INGV con una tesi su questo tema.

“Il soggetto iniziale della tesi - prosegue - era lo studio della deformazione postsismica a seguito del terremoto dell’Aquila del 2009, ma sin da subito i segnali osservati hanno suggerito un’origine ben diversa, legata a fattori idrologici”.

Lo studio ha evidenziato che la deformazione misurata dal GPS è strettamente correlata con le variazione degli apporti piovosi dei grandi bacini acquiferi. In particolare, le grandi masse calcaree dell’Appennino, sede di ingenti riserve d’acqua, si espandono e si contraggono in funzione delle quantità d’acqua che ricevono durante il periodo di ricarica stagionale che, per l’area peninsulare italiana, avviene durante le piogge e nevicate autunnali e invernali.

“Le deformazioni associate alle fasi di ricarica stagionale - spiega Nicola D’Agostino, ricercatore INGV e coordinatore della ricerca- arrivano a una decina di millimetri e si sovrappongono al lento e costante allontanamento di circa 3 mm/yr tra costa Tirrenica e Adriatica. Questi risultati ci aiuteranno a individuare con maggiore accuratezza le aree dove la deformazione tettonica si sta accumulando e verrà rilasciata in futuro da terremoti come quelli osservati negli ultimi mesi”.

Un ruolo essenziale nella stesura del lavoro è stato svolto dalla notevole mole di dati forniti dall’Acquedotto Pugliese, il principale gestore del meridione d’Italia del Servizio Idrico Integrato. “Tali informazioni -chiarisce il geologo Gerardo Ventafridda- derivano dalla storica propensione dell’Acquedotto Pugliese alla conoscenza e all’analisi delle grandezze fondamentali, attraverso cui garantire qualità ed efficienza del servizio svolto. In tal senso, la disponibilità e l’affidabilità dei dati raccolti è garantita dall’attività di strutture organizzative, che utilizzano questi dati al fine di ottimizzare l’uso delle risorse idriche e la loro gestione in caso di emergenze e di contribuire allo sviluppo di ricerche scientifiche sull’argomento”.

“Questi risultati sono molto interessanti per la comprensione delle caratteristiche e la gestione ottimale delle grandi riserve d’acqua dell’Appennino e aprono importanti prospettive di ricerca sugli acquiferi carsici”, conclude Francesco Fiorillo, professore di Geologia Applicata all’Università del Sannio.

In occasione della presentazione del lavoro al congresso del Gruppo Nazionale di Geofisica della Terra Solida a Lecce, il primo autore della ricerca, Francesca Silverii ha ricevuto il premio dell’Associazione per la geofisica “Licio Cernobori”, conferito annualmente a giovani ricercatori.

Redazione