Centosedici donne uccise dall’inizio dell’anno, una ogni tre giorni. L'ultima si chiamava Elizabeth, di nazionalità peruviana, 29 anni strangolata in casa alla periferia di Monza dal suo convivente di 56 anni, un italiano ora in carcere. La donna viveva da anni in Lombardia, regione che nel 2016 ha il triste primato dei femminicidi.
128 erano state le vittime nel 2015. Lievissimo calo ma situazione sempre tristemente allarmante, da bollettino di guerra.
Del fenomeno se ne parla purtroppo solo in concomitanza con la ricorrenza dell'otto marzo o come in questi giorni in vista della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che si celebrerà domani con una grande manifestazione di Roma.
Convegni, dibattiti, con associazioni e scuole in prima linea. Poi? Come accade spesso per ogni evento tragico, il silenzio e la rassegnazione. Ma di femminicidio si muore continuamente e soprattutto dentro.
La riflessione antropologica sul fenomeno da parte di Mercedes Russo, di Grottaminarda, giovanissima sociologa irpina, preparatissima, specializzata in devianza sociale e criminale alle Federico II di Napoli da cui si evince una sorta di grido di aiuto che abbraccia tutte le donne, affinchè possano sempre far sentire alta la propria voce di fronte ad ogni sopruso.
“Spesso il sigillo della morte lascia il posto alle botte, ai pugni, alle lesioni personali, alle prevaricazioni di ogni tipo, ai procurati danni con l’autovettura della ex. Le statistiche segnalano una dimensione impressionante di questa ulteriore area di sofferenza e di disagio. Il fenomeno del femminicidio si arricchisce di nuovi dati, di una varietà di comportamenti e impone di accogliere tutte le occasioni di collaborazione interdisciplinare per lo studio e la prevenzione di questo fenomeno, che rappresenta un indicatore generale del rapporto tra uomo e donna, che non ha spazio e tempo, ma affonda lungo la storia umana in ogni luogo della terra.
Il mondo dei comportamenti umani sembra manipolato dalla psicologia, in particolare dalla psicoanalisi, come pure dalle scienze biologiche, forti delle loro osservazioni ripetibili in laboratorio, che hanno la pretesa di dettare le norme di comportamento. Tuttavia, l’enorme problema dell’amore e dell’odio, della guerra e della pace e nello specifico del femminicidio non può essere esaurito nelle ricerche bio-psicologiche, perché il fenomeno evolve in un determinato ambiente sociale che imprime forti condizionamenti sul comportamento umano. Donne di tutto il mondo unitevi non contro gli uomini, ma contro le idee, le opinioni, la mentalità ottusa riguardo alla personalità della donna in ogni luogo, contro le resistenze consce e inconsce per ammettere una parità di costume, di usi, di comportamenti, di azioni, contro le tradizioni, i falsi appelli, i finti diritti, le ipocrisie di quanti vi difendono senza difendervi.”
Negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740: 1.251 (il 71,9%) in famiglia, e 846 di queste (il 67,6%) all'interno della coppia; 224 (il 26,5%) per mano di un ex. Lo studio dell'Eures, l'Istituto di ricerche economiche e sociali che da anni dedica al fenomeno un Osservatorio, racconta di una vera e propria strage. E se si va ancora più indietro nel tempo, fino al 2000 - anno record con 199 delitti - il dato sale addirittura a 2800 femminicidi.
Gianni Vigoroso