Confedercontribuenti ha presentato ieri alla sezione Fallimentare del Tribunale di Nola un durissimo e motivato atto di opposizione all'accordo di ristrutturazione del debito CIS SpA che avrebbe portato centinaia di aziende sull'orlo del baratro. Non potrà infatti il giudice delegato Eduardo Savarese, cui è rivolta l’istanza, non tenere in giusta e doverosa considerazione gli evidenti motivi che sono alla base dell’istanza, messa a punto dai legali dell’associazione guidata da Carmelo Finocchiaro: in primis l’avvocato Concetta Italia impegnata a seguire minuziosamente le fasi e gli atti di questa sconcertante vicenda. Un crac annunciato che, dopo aver già devastato oltre 1000 posti di lavoro in un territorio record per disoccupazione come l’area metropolitana di Napoli, punta ora a consegnare alle banche un intero, strategico segmento produttivo qual erano le vaste aree del CIS riscattate dai soci falliti (e dai tanti in stato di insolvenza) col sacrificio e col lavoro di intere generazioni.
Al giudice, Confedercontribuenti sottopone elementi che demolirebbero, passo dopo passo, l’intero impianto del cosiddetto Accordo di ristrutturazione, per il quale CIS SpA, che aveva promosso ed ottenuto le azioni fallimentari nei confronti dei suoi stessi soci per presunta morosità, stava cercando di ottenere l’omologazione dal tribunale.La prima circostanza, assolutamente clamorosa, balza subito agli occhi. In base alla Legge Fallimentare (articolo 182 bis), l’omologazione dell’Accordo di ristrutturazione dei debiti può essere concessa solo presentando gli ultimi 3 bilanci d’esercizio, sempre che essi siano compatibili con quanto richiesto. E invece, Confedercontribuenti fa osservare al tribunale che nella documentazione depositata mancano proprio i bilanci degli ultimi 3 esercizi. In particolare, "il bilancio 2015 non solo non risulta approvato dall’assemblea dei soci, ma non è possibile scorgere neppure una regolare convocazione dell’assemblea".
Sempre in base alla Legge Fallimentare vigente, l’omologazione va richiesta allegando la relazione redatta da un professionista, scelto dal debitore, che attesti sotto la propria responsabilità la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’Accordo con i debitori. Per svolgere un così delicato compito, il professionista deve avere – dice la legge – i necessari requisiti di indipendenza, terzietà rispetto alle parti e, quindi, assolta imparzialità. Ma non sarebbe questo il caso del professionista prescelto da Signor Gianni Punzo e dal suo CIS SpA. Si legge infatti nell’atto di opposizione che il professionista incaricato risulta essere già stato il "redattore della relazione su incarico di Interporto Campano, società partecipata dal CIS che risulta debitrice del CIS per importi superiori a 30 milioni di euro, di cui € 16.7 milioni svalutati sulla scorta di una relazione di altro professionista incaricato da Interporto che ne ha dichiarato la mancata recuperabilità parziale". Un conflitto d’interessi, dunque, così clamoroso che si commenta da solo: Punzo per validare l’Accordo con le banche e chiederne l’omologazione al tribunale presceglie come professionista “terzo e indipendente” lo stesso soggetto che si era già occupato, in analogo ruolo, della società come Interporto, facente capo allo stesso gruppo Punzo nonché finanziata lautamente nel corso degli anni con risorse milionarie del CIS SpA.Questi ed altri, non meno clamorosi, sono i rilievi che inchioderebbero ora alla prova dei fatti – e in primo luogo della legge – la richiesta di omologazione presentata da Punzo e dai suoi per conto di CIS SpA.
Elementi ora sottoposti al vaglio del giudice Savarese e dell’intera Sezione Fallimentare del tribunale di Nola. Che non potrà non tenerli nel dovuto conto. Anche perché, al di là delle ferree motivazioni in punta di diritto, qui si tratterebbe di dare disco verde ad una manovra che manderebbe ancora una volta al macero i diritti dei soci, messi letteralmente in croce fin dal 2005 con i contratti di sub-mutuo che sarebbero stati imposti a ciascuno di loro dal CIS, proprio quando dopo oltre 20 anni avevano finito di pagare le rate per riscattare i loro capannoni.