Solženicyn e i gulag: la fortuna di poter raccontare il viaggio di ritorno

Ricordare Alexei Navalny ogni volta che non si pesa la parola libertà, unico ponte per la felicità

sol enicyn e i gulag la fortuna di poter raccontare il viaggio di ritorno

Ci sono poche cose da tenere in mente quando si parla di libertà e di prigionia. Fin dove può spingersi un uomo se viene sorretto dalla speranza e in cosa possa questi trasformarsi agli occhi di chi la sua lotta la vive come riscatto di un coraggio che non si ha, oppure non si ha mai avuto l'opportunità di dimostrare. La morte di Alexei Navalny, nel carcere più duro della Russia, è tutto questo. La genesi di un mito e un eroe piegato all'età di 47 anni.

Lui, che d'ora in avanti useremo per ricordare a noi stessi cos'è la libertà e come può essere spietata una dittatura, rossa o nera che sia, è diventato la forza di chi ha il coraggio di togliersi un velo e gridare al mondo che una donna non deve coprirsi. E del sacrosanto diritto alla felicità. Per sé. Per i propri figli. Avendo pane e opportunità.

Navalny, ogni Navalny che il male genera, è il viaggio all'inferno che non comporta una possibilità, un ritorno.

Anni fa quel biglietto, ovvero rivedere casa, toccò ad Aleksandr Solženicyn. Figlio di una dissidenza che aveva sfidato l'Unione sovietica. Una macchina spietata che aveva reso spione e traditore l'uomo della porta accanto, che lavorava ore e ore al solo scopo di scoprirti e poterti vendere al regime. Come più biecamente, per prendersi i loro beni, venivano denunciati gli ebrei alle SS: i vicini di casa che poco prima t'avevano detto buongiorno.

Ecco le tre cose che uno deve ricordare, prese nero su bianco da Arcipelago gulag, quando si parla di libertà e di prigionia:

"Se si prendesse un uomo qualsiasi, fosse lui chi fosse, si racconterebbe comunque la sua vita, la sua storia, dalla prigione, non dalla prigione, e quell’uomo diventerebbe immediatamente, per il lettore, un’icona dell’umanità, un’icona per sempre. E lì la verità ha una forza magnetica che non ha da nessun'altra parte". 

"Un uomo può resistere a qualsiasi tortura, se sa che cosa gliene verrà inflitto e per quanto tempo, ma non è capace di resistere se non sa nulla, se non sa quando finirà. In questa cosa sta la massima potenza della tortura".

"Nel cuore delle prigioni e dei campi di lavoro forzato, l'anima umana si svela in tutta la sua fragilità e grandezza. Ogni uomo, indipendentemente dalla sua storia o dal suo destino, diventa un monito vivente delle infinite sfumature dell'umanità. Le loro vite, narrate dalla prigione o dall'oppressione, si trasformano in icone indelebili, ciascuna rappresentante una parte del mosaico umano. E là, in quei luoghi di disperazione, la verità si manifesta con una forza magnetica senza pari, toccando le corde più profonde della nostra coscienza e richiamando l'attenzione su ciò che veramente siamo. La linea tra il bene e il male passa attraverso ogni cuore umano".