Agente penitenziario accusato di essere gay, Di Giacomo: "Chi pagherà?"

"Messo alla gogna, umiliato con interrogatorio e colloqui psichiatrici, dando credito a detenuti?"

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Una triste storia

“Chi pagherà per il trattamento subito dall’agente penitenziario “accusato di essere gay”, messo alla gogna, umiliato con interrogatorio e colloqui psichiatrici, dando credito a detenuti? Purtroppo noi abbiamo la risposta: nessuno”.

Così Aldo Di Giacomo (nella foto), segretario generale del sindacato polizia penitenziaria che aggiunge: “la vicenda del nostro collega è di una gravità assoluta e al tempo stesso la più emblematica perché come per lui nessuno ripaga sofferenze, ferite e ripercussioni sulla salute dei 2mila agenti che ogni anno subiscono aggressioni e violenze di detenuti. Anzi gli unici a pagare come per l’agente che ha subito e continua a subire la gogna sono i colleghi che nessuno difende e tutela. La verità, come abbiamo in più occasioni denunciato e attraverso il nostro recente tour tra le carceri sino a chiedere la rimozione e l’avvicendamento del capo personale del Dap - afferma Di Giacomo - è che la gestione del personale penitenziario è sempre più confusa. Perché anche se il capo personale del Dap non ha responsabilità dirette non ci risulta in questo come in altri casi che coinvolgono agenti provvedimenti e misure nei confronti di chi dovrebbe rispondere delle sue responsabilità dirette.

È il caso di ricordare che l’attuale capo personale del Dap è stato nominato dal Governo precedente e che come è accaduto in tantissimi posti di responsabilità istituzionale il nuovo Governo dovrebbe procedere al suo avvicendamento.

Inoltre, come ci viene segnalato dai colleghi di numerosi istituti a causa del diffuso sottodimensionamento dell’organico è già scoppiato il caso della turnazione delle ferie estive a conferma che la situazione non è più tollerabile.

Per Di Giacomo “le promesse di un direttore e di un comandante del Corpo in ogni carcere continuano ad essere rinviate in eterno e in questo chi ha responsabilità politiche ed istituzionali si sottrae persino al confronto. Almeno per noi la priorità è inchiodare lo Stato alle sue responsabilità che riguardano l’incapacità di tutelare la vita delle persone che ha in custodia e quella dei suoi dipendenti. Di fronte a questa situazione nel recente incontro al Ministero con i sindacati abbiamo toccato con mano quanto la politica sia lontana dalle nostre problematiche.

Oltre alla riduzione della formazione dei nuovi agenti (solo 4 mesi di corso) ci è stato proposto di spostare di due anni il pensionamento solo per guadagnare tempo rispetto alla vera necessità di nuove assunzioni per incrementare gli organici carenti in tutti gli istituti. Intendiamo tutelare i servitori dello Stato abbandonati a sé stessi che rischiano ogni giorno l’incolumità fisica e di essere oggetto di indagini perché le continue promesse di rivedere il reato di tortura restano tali. E per questo continueremo ad incalzare l’amministrazione penitenziaria e a tutelare i diritti dei nostri colleghi”.